Economia
September 27 2013
Alba di periferia in una metropoli europea. Quattro operai in tuta, con borsoni a tracolla e materiale accatastato ai piedi, aspettano all'angolo di una strada, sbuffano, uno guarda l'orologio, l'altro fuma, il capo telefona. Mezz'ora dopo se ne vanno, sacramentando. Erano andati lì per montare dei routers nella centrale telefonica di quartiere dell'operatore dominante di quel Paese. Lavorano per un concorrente. Con quei routers, avrebbero potuto allacciare alla loro rete un centinaio di clienti ai quali avevano offerto, in quella zona, i loro servizi alternativi, e a miglior prezzo, a quelli dell'ex monopolista. Ma i tecnici del “padrone di casa”, che avrebbero dovuto fisicamente aprire per loro l'accesso alla centrale, gli hanno dato buca. Chissà quando riusciranno a riprendere l'appuntamento. Non è dimostrabile che “l'abbiano fatto apposta”. Capita. Ma adesso chi glielo spiega, ai cento clienti prenotati, che se ne riparla tra un mese?
È chiaro perchè gli operatori telefonici dominanti, tutti ex monopolisti pubblici – come Telefonica in Spagna, France Telecom in Francia, Deutsche Telekom in Germania e Telecom Italia da noi – non hanno mai voluto scorporare la rete fissa? Perchè controllandola hanno potuto e possono boicottare la concorrenza in mille modi, leciti e illeciti. La scenetta si è ripetuta con tante varianti in tutti i Paesi. Forse all'estero anche più in Italia, dove magari a bucare l'appuntamento erano spesso anche i tecnici dei concorrenti. Ma certo se anche da noi la quota di mercato nel “fisso” detenuta da Telecom è ancora del 65% dopo diciassette anni dalla liberalizzazione, qualcosa vorrà dire.
Bisogna considerare questi dati di fatto, se si vuol capire il perchè della diatriba sulla proprietà della rete Telecom, previo il suo scorporo societario dal gruppo e l'arrocco - sia pur tardivo - del governo a difesa dell'italianità proprietaria dell'infrastruttura; e se si vuol capire anche la trattativa infinita aperta nel maggio del 2010 dagli operatori concorrenti di Telecom in Italia – Vodafone, Wind, Fastweb e Tiscali – per poter cogestire la rete fissa della ex-Sip, fatta propria, almeno in apparenza, dall'AgCom di allora, presieduta da Corrado Calabrò, e a vario titolo stiracchiata dai governi successivi. E sempre difesa con le unghie e con i denti dalla Telecom di Franco Bernabè.
Se il possesso della Rete fosse così neutrale, rispetto all'esercizio del business dei servizi telefonici, perchè una società schiacciata da 40 miliardi di debito lordo e oltre 28 netto, non dovrebbe voler realizzare presto il valore dell'asset più ricco? La verità è che tutti i carrozzoni nati dalla pseudo liberalizzazione dei servizi telefonici in Europa – gli ex monopolisti – sono rimasti inefficienti e pletorici e prosperano (si fa per dire) solo grazie alle "asimmetrie competitive" garantite loro dal possesso delle reti. Senza, sarebbero come tartarughe sgusciate.
Ma adesso, tornando al quadro italiano, la ricreazione è finita. I nodi di Telecom sono arrivati al pettine, e l'insostenibilità finanziaria del debito impone una soluzione traumatica. Che difficilmente, però, potrà essere l'avvento di Telefonica, perchè tra indebitati non ci si può aiutare e gli spagnoli vogliono solo imbrigliare tutte le potenzialità competitive di Telecom che collidono con le loro sia in Europa che in Sudamerica.
E allora? Allora nessuno potrebbe oggi fare un pronostico preciso ma sia Bernabè sia numerose banche d'affari di mezzo mondo lavorano in queste ore per far arrivare sul tavolo del consiglio d'amministrazione di Telecom – dove, in teoria, “sparigliano” i consiglieri indipendenti - qualche altra “carta” che puntando su un aumento di capitale, oggettivamente necessario per il gruppo, ribalti gli equilibri proprietari. Sul mercato, ormai, la liquidità non manca, per quanto chi ce l'ha – da Carlos Slim a Vodafone a Li Ka Shing allo stesso Sawiris – abbia molte perplessità all'idea di poterla investire nel pozzo senza fondo del colosso italiano.
Accanto a tutto ciò c'è poi l'incognita della politica italiana. Nel giro di dieci ore, il premier Enrico Letta – totalmente spiazzato dall'annuncio del blitz di Telefonica – ha cambiato tre volte atteggiamento: dapprima è stato iper-aperturista, dichiarando: “Vigileremo, ma i capitali non hanno passaporti e Telefonica può anche apportare un buon contributo a Telecom”; poi ha detto: “Non possiamo opporci, ma vigileremo sull'occupazione”; infine ha declamato: “La Rete non si tocca”. Intanto Catricalà, viceministro dello Sviluppo economico con delega ale Infrastrutture, dapprima ha echeggiato il premier: “Non si può opporsi a un gruppo europeo”, poi è arrivato a dire che “si può ipotizzare un esproprio con risarcimento” della Rete. Una maionese impazzita.
Sullo sfondo, due soli punti fermi: Bernabè, che ha mobilitato tutte le sue potentissime relazioni, nazionali e internazionali, per suscitare un vastissimo “fronte del no” a Telefonica, lasciando addirittura la firma sotto quest'azione di lobby quando sono scesi in campo il Copasir e i Servizi segreti vaneggiando sui “rischi di sicurezza” connessi al cambio di proprietà della Rete, come se la Cia avesse avuto bisogno di essere proprietaria della Rete telefonica americana per spiare milioni di cittadini americani ed europei penetrando tranquillamente nelle reti altrui. E la Cassa depositi e prestiti, meglio se considerata in “tandem” con il Fondo F2i di Vito Gamberale, già amministratore delegato di Tim, grande esperto di telefonia mobile.
Già, perchè per chiunque comandi al piano di sopra, in Telecom, l'uscita della rete dal perimetro societario di Telecom già progettata dal gruppo non risolverà il dramma del debito. Certo, servirà un aumento di capitale: ma un passaggio di proprietà della Rete, verso mani pubbliche, risolverebbe radicalmente il nodo. Scaricandoli nella società della Rete, Telecom potrebbe liberarsi di almeno 12 miliardi di euro di debiti, che sarebbero sostenibili grazie alla redditività modesta ma costante e sicura nel tempo che l'infrastruttura garantisce. E la Telecom nuda e cruda, pura società di servizi senza più rete, con 16 miliardi di debiti ma pur sempre 30 milioni di clienti mobili e 40 fissi, potrebbe riprendersi. E c'è di più. Trovando “spalle forti” in grado di farsi carico della Rete, si potrebbe finalmente far ripartire quel piano di investimenti per trasformarla da banda stretta a banda larga, rimettendo in moto quel volano di sviluppo che oggettivamente la connettività facilita.