(Nasa / Jwst)
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Telescopio Webb, a tre anni dal lancio scova i buchi neri giganti ma dormienti

A quasi tre anni esatti dal suo lancio (era l'1:55 del 25 dicembre 2021), il telescopio spaziale James Webb (Jwst) ci ha regalato scoperte sensazionali incrementando la nostra conoscenza dell'universo e delle leggi che ne regolano l'esistenza. Ma ha anche fatto scoperte che mettono in discussione determinate teorie che gli scienziati pensavano essere ormai stabilite. Tra galassie fotografate mentre stavano nascendo e stelle che stavano morendo, i risultati del successore di Hubble sono incredibili. E' di pochi giorni fa la notizia che per la prima volta il telescopio spaziale della Nasa ha rilevato e “pesato” una galassia che non soltanto esisteva circa 600 milioni di anni dopo il big-bang, ma che per massa è simile alla nostra galassia e quindi può darci indicazioni sullo stadio di sviluppo della Via Lattea. Soprannominata Firefly Sparkle, questa galassia brilla di ammassi stellari, dieci in tutto, ognuno dei quali è stato esaminato nei minimi dettagli dai ricercatori. Ciò ha portato anche alla scoperta che, come le persone, anche i buchi neri primordiali, dopo aver mangiato troppo devono fare un “pisolino”. Grazie a Webb gli astronomi hanno individuato un buco nero supermassiccio dormiente, che esisteva appena 800 milioni di anni dopo il big-bang e dalle dimensioni enormi, che è “svenuto” dopo un pasto particolarmente grande di gas e polvere galattici. Con una massa di circa 400 milioni di volte quella del sole, è il buco nero più massiccio visto finora dal Jwst nell'universo primordiale.

La scoperta, pubblicata il 18 dicembre sulla rivista Nature, complica ulteriormente il mistero di come i buchi neri supermassicci siano diventati tali così rapidamente. La sua massa si distingue anche perché, quando questi titani cosmici si trovano solitamente nell'universo locale e più recente, essi possiedono circa lo 0,1% della massa della loro galassia ospite. Questo, invece, avrebbe una massa che equivale a circa il 40% di quella della sua galassia ospite. Ebbene, gli scienziati si aspettavano che un tale buco nero si nutrisse voracemente e quindi crescesse. Invece, esso sta divorando gas molto lentamente, circa un centesimo del limite massimo di accrescimento possibile teorizzato in base alle sue dimensioni. Con un mistero: per come li conosciamo, i buchi neri hanno confini esterni chiamati “orizzonti degli eventi" che intrappolano la luce e tutto ciò che li attraversa, dunque se non si nutrono avidamente e non illuminano quella materia, tendono a essere invisibili. Ciò perché nel momento in cui sono circondati da materia, in una nube appiattita che li alimenta chiamata “disco di accrescimento”, l'influenza gravitazionale dei buchi neri supermassicci provoca un immenso attrito che fa brillare (appunto illuminare), tale materia. E questa emissione ci consente di rilevarli. Il capo del Kavli Institute for Cosmology di Cambridge (Uk), Ignas Juodžbalis, ha spiegato: “Sebbene questo buco nero sia dormiente, le sue enormi dimensioni ci hanno permesso di rilevarlo mentre il suo stato ci ha fatto scoprire anche la massa della galassia ospite, deducendo quindi che l'universo primordiale è riuscito a produrre giganti e galassie relativamente piccole. Dunque la sua massa gli ha concesso un'enorme influenza gravitazionale che lo ha reso visibile.”

I buchi neri supermassicci sono giganti cosmici con masse equivalenti a milioni o addirittura miliardi di stelle grandi come il nostro Sole. A differenza dei buchi neri di massa stellare, che si formano quando le stelle collassano, si pensa che crescano tramite una catena di fusioni di buchi neri successivamente più massicci e dal nutrirsi costantemente di gas e polvere dalle loro galassie ospiti. E che questo processo richieda più di un miliardo di anni, ciò significa che individuare un buco nero supermassiccio nella storia recente del nostro cosmo di 13,8 miliardi di anni, oggi è possibile. Tuttavia, il fatto che il Jwst abbia trovato tali fenomeni quando l'universo aveva meno di un miliardo di anni, a volte addirittura 600 milioni di anni dopo il big-bang, fa sorgere un problema: perché non sta più crescendo rapidamente alimentandosi di stelle e gas?

Roberto Maiolino, membro del team e ricercatore del Kavli Center, avanza una supposizione: “È possibile che i buchi neri siano nati già grandi, il che potrebbe spiegare perché il Jwst ha individuato enormi buchi neri nell'universo primordiale. Un'altra possibilità è che attraversino periodi di iperattività seguiti da lunghi periodi nei quali sono dormienti”. Maiolino e alcuni suoi colleghi hanno riesaminato il problema dei buchi neri supermassicci nell'universo primordiale eseguendo simulazioni dei meccanismi di crescita, scoprendo che la spiegazione più probabile è che i buchi neri possano superare il limite imposto all'accrescimento, parametro noto come “limite di Eddington”, ovvero che suggerisce come qualsiasi corpo celeste che accresca voracemente raggiunga un punto in cui la radiazione che emette fuori dal suo nutrimento spinge via il materiale, interrompendo il processo.

Durante questi periodi, i buchi neri avidi crescerebbero a tassi iper-accelerati. ciò durerebbe tra 5 e 10 milioni di anni, dopodiché il buco nero “dormirebbe” per circa cento milioni di anni. Il periodo dormiente di questi buchi neri dura da 10 a 20 volte più a lungo della fase di accrescimento, il che significa che è più probabile che gli astronomi catturino questi titani cosmici durante il loro “pisolino” piuttosto che quando sono voraci. Ma questo mostruoso buco nero potrebbe essere solo la punta dell'iceberg, con il team Kavli che sospetta che l'universo primordiale potrebbe esserne pieno anche se, sfortunatamente, la natura dormiente renderà difficile la loro scoperta da parte degli astronomi. Conclude Maiolino: “È probabile che la stragrande maggioranza dei buchi neri là fuori si trovi in questo stato dormiente; sono sorpreso che ne abbiamo trovato uno, ma sono emozionato al pensiero che ce ne siano molti altri che potremmo trovare”.

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