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May 03 2024
Giovedì 2 maggio 2024 rischia di essere ricordato come il giorno nero del tennis moderno. Madrid, uno dei nove tornei più importanti della stagione, con tabellone decapitato dal forfait per infortunio di Sinner seguito da quello, sempre per problemi muscolari, di Medvedev a metà della sfida con Lehecka e preceduto dalla sconfitta di Alcaraz. Che ventiquattro ore dopo avrebbe alzato bandiera bianca lamentando l'impossibilità di recupero dall'acciacco al muscolo pronatore. Senza Djokovic che ormai centellina le apparizioni puntando tutto sulla tripletta Parigi-Wimbledon-Olimpiadi.
Di gioca con racchette e palline ma è una maratona. Benvenuti nel tennis dell'anno 2024 che spreme i suoi campioni fino a renderli fragili e insicuri. Un problema per lo spettacolo e per chi lo gestisce, visto che ormai anche i Master 1000 (sono 9 in calendario) vendono un prodotto di cui non certi essere in possesso. Gli occhi di tutti sono sul Foro Italico. Ci sarà Sinner o il problema all'anca lo costringerà ad aspettare per tornare direttamente al Roland Garros. Assenti Djokovic e Alcaraz e con Medvedev a fortissimo rischio, non avere nemmeno l'altoatesino significherebbe non poter garantire un cartellone all'altezza della tradizione e anche dei prezzi imposti agli appassionati che hanno fatto la fila per bruciare tutte le disponibilità convinti di trovare il meglio sulla terra rossa.
La questione sta diventando prioritaria anche se pare interessare a pochi. I tennisti giocano (quando riescono), programmano e riprogrammano e incassano. Gli organizzatori spingono per aumentare invece che ridurre i giorni di partita. I Master 1000, ad esempio, si sono ormai trasformati in piccoli tornei dello Slam con calendari di 12 giorni invece dei tradizionali 9. E a breve potrebbe entrare nel circuito anche la ricchissima Arabia Saudita che un pezzo dopo l'altro sta costruendo la sua rete intorno a uno sport che piace trasversalmente in tutto il mondo.
Il tema dell'eccessivo utilizzo degli sportivi non riguarda, insomma, solo il calcio d'élite. Fino a quanto si potrà tirare la corda prima che si spezzi? Tornando al tennis, l'inverno e la primavera sono infernali: dal cemento degli Stati Uniti che segue l'Open d'Australia, alla stagione europea sul rosso che vive di appuntamenti glamour cui nessuno vuole rinunciare come Montecarlo, Madrid e Roma prima della doppietta Roland Garros-Wimbledon.
Si passa dal veloce al lento per finire sull'erba. Stili di preparazione e allenamento differenti, muscolature sollecitate all'estremo e viaggi lunghissimi anche per chi, come i top della classifica mondiale, ha la possibilità di organizzarsi con meno ansia rispetto agli altri. Poi in campo la pressione di non poter mai perdere per non tradire la propria reputazione e per garantirsi i punti che servono per costruire o difendere il ranking ATP. Ma se i campioni si fermano per stress fisico, cosa resta?
Il tennis vive una stagione di transizione. Archiviata l'epoca dei Fab Four (Federer, Nadal, Djokovic e Murray), sta entrando in quella del duello tra Sinner e Alcaraz con in mezzo una generazione fin qu inespressa ma che non ha ancora abbandonato il campo. Servirebbe giocare un po' di meno, ma non accadrà, come del resto non è accaduto nel calcio e in tutti gli sport professionistici dove a comandare è ormai il business che vale più di tutto. Anche della salute dei protagonisti e della certezza di poterli almeno vedere in campo.