Cresce la freddezza tra Biden e Netanyahu

È tornata a salire la tensione tra Gerusalemme e Washington, dopo che Benjamin Netanyahu ha accusato gli Stati Uniti di “trattenere gli armamenti e le munizioni destinati a Israele”. “Non sappiamo sinceramente di cosa stia parlando”, ha replicato seccamente la Casa Bianca che, secondo Axios, avrebbe anche annullato un incontro di alto livello, originariamente previsto per giovedì, tra Stati Uniti e Israele, dedicato all’Iran. “Gli americani sono furiosi. Il video di Bibi ha fatto molti danni”, ha dichiarato, sempre secondo Axios, un funzionario di Washington. La rivelazione è stata tuttavia successivamente smentita dalla Casa Bianca, secondo cui il meeting sarebbe stato semplicemente posticipato per questioni di natura organizzativa. In tutto questo, la Cnn ha riferito che l’inviato speciale americano per il Medio Oriente, Amos Hochstein, avrebbe detto al premier israeliano che i suoi commenti sulle armi erano “improduttivi” e “completamente falsi”.

Insomma, i rapporti tra Netanyahu e l’amministrazione Biden continuano a rivelarsi piuttosto tesi. D’altronde, per il presidente americano si tratta anche di una questione di politica interna. L’ala più a sinistra del Partito democratico è su posizioni fortemente filopalestinesi e sta da mesi accusando Biden di mostrarsi troppo vicino a Israele. È in tal senso che alcuni pezzi di quell’area hanno annunciato la volontà di boicottare la ricandidatura dell’inquilino della Casa Bianca in Stati chiave come il Michigan e il Minnesota. Non solo. Principalmente su invito dei repubblicani, Netanyahu parlerà alle camere riunite del Congresso americano il prossimo 24 luglio. Per Biden, si profila di un duplice problema politico. Innanzitutto, una parte significativa del Partito democratico si è detta contraria al discorso del premier israeliano. In secondo luogo, va ricordato che l’ultima volta che Netanyahu parlò al Congresso fu nel 2015 e che, all’epoca, non risparmiò critiche alla politica fondamentalmente filo-iraniana dell’amministrazione Obama.

Non è affatto escluso che, anche questa volta, l’Iran possa rappresentare il fronte di maggiore attrito. Il premier israeliano ha infatti sempre giudicato - e non senza qualche ragione - la linea di Biden sul tema come troppo blanda e arrendevole. E il nodo non risiede soltanto nelle crescenti ambizioni nucleari del regime khomeinista: un elemento che, al di là di Israele, preoccupa molto gli stessi sauditi. La questione riguarda anche il fatto che Teheran è il principale finanziatore di Hamas ed Hezbollah, oltre che degli Huthi. Netanyahu e i repubblicani auspicherebbero un ritorno alla politica trumpista della “massima pressione” sull’Iran: una linea che Biden è tuttavia restio a ripristinare, visto che, nel 2020, promise di rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano, che era stato siglato dall’amministrazione Obama cinque anni prima e da cui Donald Trump si era invece ritirato nel 2018. È anche a causa dell’insoddisfazione per questa situazione che Gerusalemme e Riad sembrano maggiormente scommettere su un ritorno dello stesso Trump alla Casa Bianca. L’obiettivo è infatti quello di rispolverare la logica degli Accordi di Abramo. Una logica che, guarda caso, Teheran ha sempre contestato.

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