Dal Mondo
September 16 2022
Tra le poche certezze di questa assurda guerra russo-ucraina, nel giorno in cui trapela la richiesta del governo di Mosca agli insegnanti di ridursi lo stipendio per aiutare le forze armate, rimarrà nella storia il fatto che nessuno al Cremlino credeva che l'Ucraina diventasse così forte militarmente grazie agli aiuti internazionali. Inoltre, a Mosca hanno capito toppo tardi che Lituania, Lettonia, Estonia e Polonia sarebbero in breve tempo state pronte per fornire un appoggio fondamentale alla Nato. In particolare, il ruolo di Varsavia nell'aiutare l'Ucraina è indiscutibile e meritevole di riconoscimento agli occhi del mondo, a cominciare dall’ospitare le forze aere di mezza Europa per pattugliare, e nel caso difendere, il confine est. Quanto a Lituania, Lettonia e soprattutto Estonia, il loro contributo va sottolineato non soltanto perché sono guidate da governi ansiosi di sostenere impegni in investimenti militari, seppure siano vincolati da limiti finanziari, tecnologici o logistici, quanto per la quantità di attrezzature e supporto medico e umanitario profuso, il cui primato va all'Estonia. Secondo Kalev Stoicescu, ex funzionario del Ministero degli affari esteri e della Difesa estone, che è stato intervisto alla testata Defence24, non soltanto la Russia avrebbe preso la decisione di attaccare l'Ucraina sulla base di informazioni e valutazioni politiche incredibilmente scarse, ma non ha saputo neppure riconoscere e imparare dagli errori commessi nel 2014, quando non riuscì a occupare la cosiddetta Novorossiya, ovvero l’Ucraina orientale e meridionale, né a costringere l'Ucraina a sottomettersi alle sue richieste. Mosca ha commesso un colossale errore di valutazione e oggi accusa la Polonia e gli Stati baltici di ostilità, pur sapendo che non si può essere amichevoli con un regime criminale e aggressivo. E questo fa pensare che a fermare Putin saranno questioni interne e non i tentativi di far almeno cominciare un negoziato. Gli ultimatum della Russia alla Nato del 17 dicembre 2021 non lasciavano dubbi sull'intenzione di Putin di distruggere prima l'Ucraina, e poi demolire l'architettura di sicurezza europea. Con il passare dei mesi di guerra (e per quanto riguarda il Donbass, degli anni), si tende spesso a dimenticare episodi che anche l’occidente ha sottovalutato, tra i quali per esempio l'incidente dello stretto di Kerč' avvenuto il 25 novembre del 2018, quando in un territorio controllato dai russi che rappresenta però l’unico accesso al Mare d’Azov, alcune navi da guerra della Marina di Mosca spararono contro tre unità militari ucraine che navigavano dal Mar Nero dirette al porto di Maiupol. Allora si sarebbe dovuta dare più importanza alla motivazione fornita da Mosca per giustificare l’attacco, ovvero la violazione delle acque internazionali e il rifiuto del comandante del convoglio ucraino di variare la sua rotta, come se ce ne fosse stata un’altra possibile per passare lo stretto. Oltre al ferimento di alcuni marinai, la Marina russa catturò e imprigionò 24 militari di Kiev. Per tutta risposta il 26 novembre il governo ucraino votò al parlamento la legge marziale lungo i confini nazionali per un periodo di trenta giorni. Da quel momento gli episodi militari furono sempre più frequenti e gravi, a cominciare dall’autunno dello scorso anno con i colpi sparati dalla flotta russa a un convoglio britannico che si era avvicinato “un po’ troppo” alle unità che avevano partecipavano alle esercitazioni russe nel Mar Nero. Poco dopo la mobilitazione delle forze russe verso i confini ucraini, cominciata ad aprile 2021, diventò sempre più importante e nell’ottobre dello scorso anno ai confini dell'Ucraina erano già presenti circa 100.000 soldati.