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August 14 2019
Sono passati tre anni. Nessuno si azzarda più a fare pronostici su quanti ancora ne serviranno per ricostruire quel pezzo d’Italia centrale andata in frantumi con il terremoto del 24 agosto 2016. Gli abitanti delle Sae, le famose casette di legno consegnate dopo due anni di attesa e con mille problemi, sono convinti che non torneranno più nelle vecchie abitazioni ma resteranno in quei pochi metri quadrati di «emergenza» fino alla fine dei loro giorni. Nessun politico osa più promettere che i 138 Comuni distrutti verranno ricostruiti come erano e dove erano. E a dire il vero, i politici da quelle parti non si fanno nenache più vedere.
A parte qualche missione lampo del capo dello Stato, Sergio Mattarella, per i partiti, quel pezzo d’Italia, è come se fosse scomparso dalla carta geografica. «Qui ci sono pochi voti da pescare» è il refrain che ripete la gente del posto.
Anche i riflettori della stampa si sono spenti. La ricostruzione post terremoto non fa più notizia. D’altronde non ci sono progressi e si tratterebbe di sciorinare sempre le stesse cifre. Le demolizioni continuano con lentezza estenuante. Secondo le ultime rilevazioni, resta da smaltire quasi il 40 per cento dei detriti. Cambiano governi e commissari straordinari, le ordinanze si moltiplicano ma tutto resta bloccato. Le zone rosse sono ancora transennate e nulla si muove in attesa delle pianificazioni urbanistiche. Visso, Ussita e Amatrice sono nel mezzo di parchi naturalistici dove anche per spostare un sasso occorrono mille autorizzazioni. Prima di mettere la firma su una delibera, prima di decretare un lavoro, il funzionario di turno e il sindaco vogliono essere sicuri al cento per cento di non incorrere in qualche illecito. La paura di trovarsi, magari tra qualche anno, sotto il faro della Corte dei conti o della magistratura, paralizza. E allora meglio tirarla per le lunghe, nascondersi dietro i cavilli.
Ecco il vero ostacolo che nemmeno il nuovo commissario straordinario alla ricostruzione, Piero Farabollini, è riuscito a rimuovere. La normativa, nonostante le 82 ordinanze, ognuna a correzione di quelle precedenti, contiene ancora talmente tanti temi che si prestano a differenti interpretazioni, da scoraggiare l’assunzione delle responsabilità. I progettisti lamentano che ogni ufficio speciale per la ricostruzione, legge le norme in modo differente e si sbizzarrisce a chiedere più documenti possibili per mettersi al riparo da possibili contestazioni.
I numeri del bilancio di tre anni parlano chiaro. La ricostruzione pubblica non è mai iniziata e quella privata conta una manciata di cantieri, su una realtà di circa 76 mila immobili colpiti in modo più o meno grave. Eppure i soldi ci sono, ben 22 miliardi stanziati, ma non si riescono a spendere. Il quadro degli interventi sull’edilizia privata è sconfortante. Secondo gli ultimi dati del commissario straordinario, sono pervenuti 8.168 progetti cioè il 10 per cento degli immobili danneggiati. Questo significa che in tre anni la stragrande maggioranza dei proprietari non si è preoccupata di avviare le procedure per la ricostruzione.
Alla lentezza dei terremotati, si sommano i tempi lunghissimi per l’esame delle pratiche. Di 8.168 richieste di fondi pubblici presentate, ne sono state approvate 2.420, cioè una su tre. Se consideriamo tutti i danni del terremoto sul tessuto urbano (cioè i 76 mila immobili lesionati) a oggi, sono formalmente autorizzati ad essere riparati solo tre edifici su cento. Ben 5.511 pratiche sono impantanate nell’istruttoria mentre 237 sono state respinte, probabilmente perché contenevano errori. Va sottolineato che la decretazione di un progetto non significa l’apertura automatica di un cantiere. Il proprietario deve scegliere una ditta e avviare la procedura di affidamento dei lavori. Finora sono stati spesi per l’edilizia privata, solo 200 milioni.
Esaminando la situazione delle singole Regioni, nelle Marche, la più danneggiata, su circa 45 mila progetti attesi, ne sono stati presentati 4.958 e approvati 1.668, mentre 3.238 sono ancora sotto esame. In Umbria su 11.882 potenziali richieste di fondi per aprire i cantieri, ne sono arrivate 1.218 e approvate 461. È in corso l’istruttoria per 712.
Procede con gran lentezza anche l’Abruzzo. Sono stati approvati 62 progetti su 1.316 presentati a fronte di 10.711 attesi mentre 1.221 stanno completando l’iter. Nel Lazio, con 7.800 immobili lesionati, sono arrivate 676 richieste di finanziamento e approvate 229. Al palo ne restano 340. Continuando con questo ritmo sarà impossibile rispettare la scadenza di fine anno, fissata dal commissario Farabollini, per depositare tutti i progetti.
Come si spiega tanta lentezza sia da parte dei proprietari delle case danneggiate sia da parte degli uffici tecnici? Innanzitutto in alcune zone c’è un buon 70 per cento di seconde abitazioni e quindi nessuno ha fretta di effettuare i lavori. In più molti temono che la copertura finanziaria statale non basti e quindi di doverci rimettere di tasca propria.
È anche vero che i sopralluoghi sui danni non sono ancora ultimati. Nelle Marche gli uffici tecnici stanno sbrigando le ultime 7 mila schede, le cosiddette Fast, che indicano se un edificio è agibile. Erano state introdotte proprio per accorciare i tempi. Amatrice stima che la ricostruzione del centro storico potrebbe partire tra un paio di anni. Intanto, la comunità si è ridotta del 40 per cento e anche il popolo delle seconde case che, tradizionalmente animava l’estate, è meno presente.
L’ostacolo maggiore alla ricostruzione è rappresentato dalle macerie. Deve essere smaltito circa il 30 per cento dei detriti, con punte del 40 in alcune zone. Il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, a La Verità ha denunciato un paradossale intoppo burocratico che sta bloccando qualsiasi iniziativa. «La legge impedisce di portare le macerie private nel sito che raccoglie quelle pubbliche perché sono catalogate in modo diverso. Inoltre, abbiamo dovuto attendere un anno prima che venisse rinnovato il contratto con la ditta incaricata dello smaltimento dei detriti pubblici». Poi lancia il sasso: «Inutile rivolgersi a Regione, commissario alla ricostruzione e Protezione civile: ognuno ha i suoi motivi per non intervenire ma intanto noi siamo bloccati».
Il sindaco di Arquata del Tronto Aleandro Petrucci, paese completamente raso al suolo, solleva un’altra questione. «Nei comuni perimetrati, dove gli edifici vanno tutti demoliti, bisogna fare una gara europea per individuare i tecnici che dovranno dire se e dove si ricostruirà». E rivela che Pescara del Tronto andrà «delocalizzata» cioè, di fatto, sarà cancellata dalla carta geografica. A Campotosto, in provincia de L’Aquila, c’è un altro caso di follia burocratica. La normativa sulla ricostruzione varata dopo il sisma del 2009 è in contrasto con i provvedimenti introdotti per quello del 2016. Tra gli ostacoli all’approvazione dei progetti, c’è la presenza dei piccoli abusi edilizi non sanati: sono in grado di bloccare per mesi l’istruttoria della pratica, finché la situazione non viene regolarizzata. Nei borghi dell’Italia centrale non troviamo casi di grande speculazione. Piuttosto difformità lievi, come il bagno ricavato chiudendo un terrazzo (gli edifici storici spesso erano sprovvisti di sanitari), un tramezzo spostato per ricavare una stanza in più, un lavatoio trasformato in un ripostiglio. Inoltre nelle località più danneggiate, gli archivi sono stati sepolti dalle macerie ed è difficile ricostruire la storia degli edifici.
Più grave lo stato della ricostruzione del patrimonio edilizio scolastico. Il primo piano di interventi risale a gennaio 2017. L’allora commissario Vasco Errani aveva fatto un elenco di 21 scuole da riaprire con la massima urgenza, entro nove mesi. A distanza di quasi tre anni solo tre strutture sono state ultimate (a Sarnano, Caldarola e Crognaleto). E con donazioni private. In altri tre edifici i lavori procedono a rilento per problemi vari. A San Severino è stata scoperta una necropoli neolitica, mentre a San Ginesio è emerso un vincolo archeologico. Camerino è fermo alla fase di affidamento dei lavori. Le altre 15 scuole dovrebbero essere ultimate per fine anno. All’elenco fatto da Errani, negli anni si sono aggiunte altre 218 strutture scolastiche per le quali non è stato avviata alcuna procedura. Quindi su un totale di 239 scuole solo tre sono state ultimate e consegnate.
C’è infine un altro fattore che frena la ricostruzione. A novembre si vota per il rinnovo del Consiglio regionale in Umbria, mentre le Marche sono chiamate ai seggi a maggio 2020. E nell’attesa meglio non prendere decisioni.
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