Economia
May 29 2013
C’è Sergio Marchionne, grande capo della Fiat-Chrysler, per il quale produrre auto elettriche su larga scala è un atto di «masochismo industriale». Giudizio condiviso, a bassa voce, da tutte le grandi case automobilistiche, che continuano a perdere montagne di soldi cercando inutilmente di convincere i consumatori a comprare piccole vetture a batterie: carine, certo, ma molto costose, lente e con poca autonomia.
Poi c’è la Tesla Motors. Un’azienda della Silicon Valley che, pur producendo auto elettriche (un solo modello in tre versioni), ha galvanizzato la borsa ed è arrivata a valere 10 miliardi di dollari, più della Fiat-Chrysler che non arriva a 8 miliardi: al Nasdaq, il mercato dei titoli hi-tech, nelle ultime settimane il suo titolo è esploso e dall’inizio dell’anno ha messo a segno un rialzo di oltre il 150 per cento. Un boom alimentato dall’annuncio che la società ha chiuso i conti trimestrali con i suoi primi utili in 10 anni (11 milioni di dollari) e con ricavi cresciuti dell’83 per cento. Ma l’attenzione degli analisti si era accesa da tempo: in novembre il giornale americano Motor Trend aveva incoronato la berlina della Tesla «auto dell’anno 2013», mentre Consumer report, la bibbia dei consumatori Usa, le ha assegnato poche settimane fa i voti più alti mai riconosciuti a ogni altra vettura provata dai suoi severi collaudatori, accompagnando il test con una pioggia di commenti positivi.
Ce n’è abbastanza per spingere alcuni giornali e blogger a paragonare la Tesla alla Apple di Steve Jobs. In effetti dietro la società c’è un imprenditore-inventore di 42 anni, Elon Musk, che ha avuto un’intuizione semplice e vincente. L’idea è questa: le auto elettriche sono costose da produrre? Sì. E allora perché insistere a proporle alla classe media come vetture per risparmiare soldi? Molto meglio trasformarle in prodotti di lusso per un pubblico danaroso, eccitato dall’idea di avere un mezzo tecnologicamente avanzato, con una ripresa mozzafiato e politicamente corretto. Anche perché, se non si bada al risparmio, si può montare una batteria che garantisce più autonomia, mantenuta a temperatura costante sia in Norvegia sia negli Emirati Arabi.
Inizia così, 10 anni fa, in un vecchio impianto della General Motors, l’avventura della Tesla, dedicata all’omonimo inventore serbo che a cavallo tra Ottocento e Novecento fu fondamentale per lo sviluppo dell’energia elettrica. A Fremont, California, l’azienda costruisce il contrario della tipica auto elettrica: la Roadster, basata su telaio Lotus, con prestazioni da supersportiva, 300 cavalli di potenza, 320 chilometri di autonomia e un prezzo di ben 84 mila euro.Tra il 2008 e il 2012 ne vengono vendute 2.400, in Italia ne circolano 30. Ma è solo il primo passo di una strategia a lungo termine: il secondo è realizzare la prima berlina interamente elettrica.
Così la fabbrica della Tesla si è allargata accogliendo 1.500 lavoratori trentenni e decine di robot che cesellano telai e carrozzerie in alluminio, per ridurre il peso al minimo. Dal 2012 dalla linea di montaggio non escono più le Roadster ma, al ritmo di 57 al giorno, le nuove Tesla S, berline a quattro porte dalla linea classica. Venduto a un prezzo che parte da 70 mila euro per salire oltre i 100 mila, il modello S offre un’autonomia che oscilla tra i 375 e i 500 chilometri, a seconda del tipo di batteria a bordo. Con oltre 350 cavalli è più potente di una Porsche Carrera e non consuma una goccia di benzina. Il pieno costa circa 16 euro di elettricità, più o meno un sesto di una berlina paragonabile.
Nonostante il prezzo non proprio invitante, la Model S è un successo, seppure di nicchia: nel primo trimestre di quest’anno, ricorda la Cnn, ne sono state vendute negli Usa 4.900, più delle Mercedes classe S o delle Bmw serie 7. E la Tesla ha raccolto 22 mila prenotazioni. «È un’auto valida, divertente da guidare, con una ripresa imbattibile, anche se un po’ troppo morbida per gli standard europei, noi siamo abituati a vetture più rigide» racconta Alessandro Marchetti, ingegnere, collaboratore di Panorama Auto e Corriere della sera. «E poi mantiene quello che promette in termini di autonomia».
Certo, dietro all’exploit della Tesla c’è un grande sostegno pubblico: ha ricevuto un prestito a tassi agevolati di 465 milioni (Musk ha dichiarato che lo restituirà in anticipo), le sue auto godono di un incentivo federale di 7.500 dollari a cui se ne aggiunge un altro di 2.500 dollari in California. Inoltre la società vende «crediti» alle case automobilistiche che, sempre in California, non riescono a raggiungere l’obiettivo di vendere almeno 7.500 auto
a emissioni zero. Tanto che Sarah Palin, ex candidata repubblicana alla presidenza Usa, ha bollato come «perdente» il progetto Tesla, criticando l’amministrazione Obama per gli incentivi «verdi».
Però dentro la casa di Palo Alto di tecnologia ce n’è molta: la futura Classe B electric drive della Mercedes potrà percorrere 185 chilometri con una ricarica grazie alla Tesla, che ha collaborato alla produzione dei motori elettrici, dei sistemi elettronici e delle batterie. Così come il Rav4 Ev, un suv della Toyota che può fare più di 160 chilometri con una ricarica, è un frutto del lavoro con l’azienda di Musk.
Anche per questo Bill Ford, presidente esecutivo della Ford Motor e pronipote del fondatore Henry, ha citato una celebre battuta del suo avo («Quando vedo un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello»), ma al posto dell’Alfa Romeo ha citato la Tesla. Esagerato? Forse. Ma intanto gli uomini di Musk stanno lavorando al terzo capitolo della storia: lanciare un’auto interamente elettrica a un prezzo di 30 mila dollari. Ci rivediamo fra tre anni?