ANSA/ANGELO CARCONI
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Il tesoretto usiamolo per abbassare le tasse

È un gioco da bambini la caccia al tesoretto di Matteo Renzi. Più che una caccia, è un annuncio, di quelli che suonano fin troppo scontati. Annuncio a ridosso delle elezioni regionali, come alla vigilia delle europee il premier annunciò gli 80 euro al mese di bonus per una fascia precisa di lavoratori dipendenti. Mancia o gettone elettorale, gli 80 euro, che avrebbero dovuto rilanciare la crescita non l’hanno fatto. Quei soldi, nelle dichiarazioni di Renzi, dovevano essere spesi in consumo. Invece sono rimasti in banca o sotto il materasso. Perché la fiducia non è tornata, anzi, e il sussidio si è rivelato per quello che era, manovra elettorale. Furbizia, non lungimiranza. E ora?

Di ben altro avrebbe bisogno la spompata economia italiana: riforme, tagli di spesa e, soprattutto, riduzione delle tasse. Invece che cosa ci riserva, o promette, il nostro benevolo capo del governo? Altre piccole elargizioni in virtù di un fumoso tesoretto (in deficit). Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sostiene infatti che uno “spazio fiscale” si è intrufolato tra una crescita migliore del previsto (seppur dovuta a fattori esterni come la svalutazione dell’euro e la diminuzione del prezzo del petrolio) e obiettivi di deficit confermati. In pratica, quel miliardo e 600 milioni che il governo si azzarda a chiamare “tesoretto” verrebbe destinato al sostegno dei redditi più bassi.

Un intervento contro la povertà? Un’equa redistribuzione della ricchezza? Probabilmente neanche. Siccome i nostri conti sono comunque in rosso e il debito pubblico non diminuisce ma aumenta, sarebbe solo un un incremento della spesa in deficit. Pari a un decimo dei 16 miliardi di tasse che si abbatteranno sulle nostre teste nel 2016 a meno che intanto non si realizzino equivalenti tagli della spesa pubblica. Lo prescrivono le famose "clausole di salvaguardia".

Ma se anche fosse disponibile un tesoretto, sarebbe opportuno usarlo per cominciare a abbassare le tasse (e metter mano contemporaneamente alla spending review della quale tanto si è parlato ma che non è alle viste).

Il paradosso è che grazie a quella elargizione di 80 euro (e alla prossima, giocoforza meno sostanziosa), il governo pretende di avere abbassato la pressione fiscale. Invece ha aumentato la spesa pubblica, e la pressione fiscale ufficiale resta al 43,5 per cento, insostenibile per le imprese che cercano di tornare a respirare. Allora cosa ne sarà di noi quando l’Italia, incapace di risalire la china alla velocità dei partner europei, non potrà più neppure usufruire delle misure della Banca centrale europea a scadenza, cioè il QE? Ecco, è il momento di agganciare la ripresa e cosa fa Renzi? Dilapida il tesoretto a scopi elettorali.

Demagogia, parole, promesse. Pochi fatti. E una logica perversa che ci riporta indietro nel passato. C’è ben poco da lamentarsi per l’intransigenza della Germania. Il social-democratico Gerhard Schroeder, ai tempi in cui fu cancelliere tedesco, introdusse le riforme insieme all’inevitabile zavorra che le accompagnava: i sacrifici. E la Germania oggi sta dove sta: in cima. Noi abbiamo un capo di governo che a tempo scaduto naviga a vista e non coglie il momento. Approccio che rischia di essere fatale. Non a lui, ma all’Italia. Se aumenta la tassazione complessiva sulla casa per via di Imu, Tasi e revisioni del catasto, se l’Imu sui macchinari strangola le imprese e il carrozzone pubblico continua a macinare soldi per non perdere i clienti di un assistenzialismo elettoralistico, dov’è la grande novità del renzismo?


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