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Testimoni di giustizia, cosa fare per non allontanarli dalla loro terra

Una nuova vita, un nuovo lavoro. Sono stati assunti, poche ore fa, altri quattro testimoni di giustizia nella loro terra d’origine: la Sicilia. Con gli ultimi inserimenti, tra cui anche la testimone palermitana Valeria Grasso, sono ormai 25 i testimoni di giustizia che lavorano alle dipendenze della Regione Sicilia.

“Si tratta di un traguardo davvero importante e significativo in quanto non è affatto semplice “ricollocare” i testimoni di giustizia in ambito lavorativo. Non è semplice sia per il loro grado di istruzione e formazione professionale sia per la tutela alla quale loro sono sottoposti dal sistema stesso di protezione”.

Andrea Caridi, il Direttore del Servizio Centrale di Protezione dei collaboratori e i testimoni di giustizia è soddisfatto delle nuove assunzioni ma non nasconde la preoccupazione per l’esposizione mediatica che alcuni soggetti sottoposti al regime di protezione, stanno avendo attraverso l’Associazione Nazionale testimoni di giustizia.

“L’Associazione è indubbiamente una realtà importante ma molti dei testimoni che noi stiamo proteggendo scendono in piazza per manifestare, mostrano i loro volti con troppa facilità e svelano le località dove noi li abbiamo trasferiti, mettendo così in pericolo la loro vita e quella dei loro familiari- spiega a Panorama.it, il direttore Caridi – il Servizio Centrale di protezione capisce perfettamente il disagio nel quale sono costretti a vivere i testimoni, spesso sradicati dalla propria terra d’origine ed infatti sta facendo il possibile per poter garantire loro la massima protezione e allo stesso tempo provare a creare loro un nuovo futuro”.

Il coordinatore dei testimoni di giustizia siciliani, Ignazio Cutrò, pochi giorni fa aveva fatto un nuovo appello al Governo e alle istituzioni affinché fossero trovati nuovi modi per far lavorare i testimoni nelle regioni in cui vivono. Molti di loro hanno dovuto abbandonare la Sicilia per motivi di sicurezza e spostarsi a Roma. Ma questo trasferimento nella Capitale, spiega Cutrò, ha costi elevati in quanto i testimoni devono pagarsi un affitto oltre alle normali spese e rischiano, a fine mese, di rimanere senza soldi.

Dottor Caridi, è possibile trovare una nuova sistemazione lavorativa senza spostare i testimoni dalle loro terre?
E’ difficilissimo ma non impossibile. E le ultime assunzioni lo hanno dimostrato. Ma se un soggetto è sotto protezione evidentemente corre dei rischi elevati nella propria terra e per proteggere la propria vita e quella dei familiari deve per forza abbandonarla. Rimanere in quei luoghi, per alcuni di loro, equivale ad una esposizione elevatissima ad attentati o agguati. Quindi devono essere allontanati, non posso rimanere negli stessi territori dove hanno visto o subito un crimine e dove hanno deciso di denunciarlo. Comunque il Servizio Centrale di Protezione, il Ministero e la Conferenza delle Regioni stanno lavorando in modo serrato per trovere nuovi accordi e soluzioni lavorative.    

Quanti sono attualmente i soggetti sotto protezione?
I nostri uffici gestiscono la sicurezza di 6.300 persone e di questi 84 sono i testimoni di giustizia. Gli altri sono collaboratori di giustizia e familiari degli uni e degli altri.

Come viene deciso il luogo del trasferimento di un testimone di giustizia?
Premesso che il trattamento che viene riservato al testimone non è quello che viene concesso al collaboratore. Al testimone di giustizia viene fatta scegliere l’abitazione e compatibilmente anche la località ovvero se vuole risiedere vicino al mare o in montagna. Poi è il nostro ufficio che dopo un’attenta analisi della situazione che ha portato il soggetto a rientrare nel nostro sistema di protezione, individua una Regione dove non sia presente una forte concentrazione di persone provenienti dalla loro terra d’origine, in modo tale da poterli fare inserire nel tessuto sociale in modo sicuro. Ma molto dipende da loro.

Si spieghi meglio..
Dipende dal loro atteggiamento, stile di vita e insofferenza verso le regole che devono seguire. Uscire allo “scoperto” , ad esempio, con la loro Associazione è un errore gravissimo che mette a repentaglio la loro sicurezza, quella dei loro familiari…e il nostro lavoro.

Ma quali sono queste regole?
Sono tanti piccoli accorgimenti ma possiamo riassumerli in uno stile di vita low profile, basso profilo. La famiglia del testimone di giustizia non deve mettersi in evidenza, non deve fare in modo di attirare attenzione su di sé. Ecco perché si rivela altamente nocivo l’atteggiamento di coloro che 'manifestano'. Quando la loro identità viene svelata così come il luogo nel quale li abbiamo trasferiti, si innesca immediatamente un nuovo iter per un immediato trasferimento in un’altra località. E questo crea un disagio incredibile al testimone e alla famiglia, senza considerare, infine, l’aspetto economico. Che non è sicuramente di secondo piano.

Il testimone, senza più un lavoro, percepisce un assegno. A quanto ammonta?
Non vi è una cifra fissa per ogni testimone. L’importo varia in base al lavoro e allo stile di vita che il soggetto aveva precedentemente all’entrata nel sistema di protezione. Se si tratta di un imprenditore, ad esempio, l’assegno, sarà parametrato al tenore di vita avuto fino a quel momento. Non avviene così per i collaboratori di giustizia che vengono da un passato legato alla criminalità organizzata. A loro non viene fatta scegliere l’abitazione o la località dove poter vivere.

Immaginabili le difficoltà della gestione di oltre sei mila persone. Ma qual è quella più importante che deve affrontare il Servizio di Protezione?
E’ l'insofferenza. L’insofferenza del testimone, ripeto, non crea solo un ulteriore lavoro da parte dei nostri uffici ma soprattutto un pericolo concreto per il testimone stesso e i suoi familiari. E se un soggetto non è adeguatamente protetto, significa che il Servizio non sta svolgendo correttamente il proprio lavoro. Ma per svolgere bene questo delicatissimo compito, il testimone deve seguire attentamente le regole che gli diamo.  

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