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July 04 2018
Potrebbero volerci settimane, persino quattro mesi, oppure diversi giorni secondo alcune previsioni per riportare in superficie i 12 ragazzini di una squadra di calcio, rimasti intrappolati insieme al loro allenatore in una grotta in Thailandia.
Una vicenda che ha tenuto col fiato sospeso per 9 giorni, coinvolgendo centinaia di persone nel tentativo di soccorrere i giovani, di età tra gli 11 e i 15 anni. Quando le speranze sembravano svanite, il gruppo è stato ritrovato.
Ora, però, inizia la delicatissima fase di soccorso vero e proprio, con il recupero della comitiva: oltre alle piogge (abbondantissime nella stagione dei monsoni), a rendere complicati gli interventi c'è il fatto che nessuno di loro sa nuotare. Un subacqueo esperto, secondo i media locali, ci mette circa 6 ore a compiere il tragitto dal punto in cui si sono rifugiati i giovani fino all'esterno della grotta.
Come possono essere tratti in salvo? Dalla Svezia potrebbero giungere delle speciali maschere, per permettere ai piccoli calciatori di attraversare il labirinto di cunicoli, pur senza essere esperti subacquei. Ma le correnti d'acqua, in alcuni punti anche molto forti, potrebbero rallentare il percorso.
Tra gli effetti da non sottovalutare, poi, ci sono le conseguenze di una lunga permanenza della comitiva ad una pressione differente rispetto a quella atmosferica: "In questi casi l'intervento risulta facilitato se le persone da salvare sono rimaste in ambiente normobarico. Ma potrebbe anche essere accaduto che la spinta dell'acqua abbia reso il luogo in cui si trovano i sopravvissuti una vera e propria 'sacca d'aria' in pressione" spiega a Panorama.it il Capitano di Fregata, Andrea Rigo, Capo sezione Impianti e Materiali subacquei dell'Ufficio Studi di Comsubin (Comando Subacquei e Incursori della Marina Militare).
Ma come intervenire in un contesto analogo?
"Le variabili in campo sono molte: gli interventi in casi simili dipendono, ad esempio, dalla visibilità che si ha all'interno della grotta, dalla profondità e pressione a cui si trovano i soggetti da salvare o che si possono incontrare lungo il percorso, ma anche dalle correnti, dall'ampiezza e dalla conformazione dei tunnel" spiega l'ufficiale subacqueo.
Da qui la possibilità di due diversi scenari:
Il soccorso con maschere speciali - "In casi di soccorso a persone che siano rimaste intrappolate in luoghi di difficile accesso sott'acqua, il primo e più semplice degli interventi potrebbe consistere nell'inviare un team di subacquei che potrebbe stendere un cavo di collegamento, tipo filo d'Arianna, al quale agganciare con moschettoni tutti i soggetti da trarre in salvo.
A ciascuno potrebbe essere affiancato un buddy, un subacqueo esperto che gli faccia da compagno, controllando che tutto proceda correttamente e non ci siano malori o imprevisti.
Nel caso specifico in cui i soggetti non abbiano dimestichezza con le immersioni, sarebbero preferibili maschere tipo granfacciale, che coprono interamente il viso e hanno un erogatore integrato che dunque esclude il rischio di perderlo dalla bocca. Una volta indossate, queste maschere permettono una perfetta respirazione, lasciando libera la faccia" spiega il Capitano di Fregata.
E' anche possibile che i buddy siano due per ciascun soggetto da far evacuare: uno starebbe davanti e un altro dietro, in modo da garantire la massima tranquillità alle persone da salvare.
La "spinalizzazone" - Nel caso in cui si debba recuperare personale particolarmente agitato, come potrebbe accadere per i bambini della grotta in Thailandia, si potrebbe procedere con una "spinalizzazione", ovvero una immobilizzazione. "E' quanto accade negli interventi di recupero di persone che fanno speleosub - spiega il Capitano di Fregata Giampaolo Trucco, Capo nucleo Pubblica Informazione di Comsubin - Se gli operatori dovessero vedere che ragazzi sono molto spaventati, potrebbero bloccarli, facendogli sempre indossare la maschere granfacciali, portandoli via in modo sicuro. Sarebbe anche possibile utilizzare delle bende per chiudere loro gli occhi in modo che non si spaventino, ad esempio in passaggi stretti e bui".
Lo "scooter subacqueo" - Date le dimensioni delle grotte, come quella in Thailandia dove in alcuni cunicoli sembra che sia possibile passare solo uno alla volta, questo mezzo risulta pressoché impossibile da utilizzare, mentre potrebbe essere un'opzione in caso di spazi più ampi.
"Si tratta in ogni caso di quello che in gergo tecnico viene chiamato 'trascinatore'. Ha dimensioni ridotte e forma pressoché cilindrica con un'elica a propulsione elettrica in grado di muoverlo sott'acqua. L'operatore vi si aggancia, portando con sé anche la persona da salvare. In questo caso, così come per il precedente, la presenza di correnti più o meno forti e una bassa visibilità possono limitarne di molto l'impiego" spiega l'esperto palombaro.
Escluso anche il ricorso a veicoli subacquei come i cosiddetti SDV (Swimmer Delivery Vehicle), piccoli sottomarini, utilizzati come veri e propri taxi subacquei, ma dalle dimensioni troppo grandi.
In tutti i casi appena citati si parte dal presupposto che la pressione alla quale si trovano le persone da salvare sia la stessa di quella atmosferica, dunque che si trovino in ambiente cosiddetto normobarico. "Se invece si fosse creato un ambiente pressurizzato, i soggetti sarebbero senz'altro ormai in cosiddetta saturazione, ovvero il loro corpo si sarebbe "abituato" alla nuova pressione (superiore) e la faccenda si complicherebbe, perché prima di uscire e raggiungere la superficie occorrerebbe una decompressione - dice il Comandante Rigo - Si tratta di una procedura molto lenta e ben codificata, che segue tabelle che tengono conto della profondità alla quale ci si trova: ad esempio, potrebbero occorrere dai 4 ai 10 giorni, a seconda delle condizioni".
Certamente non impiegabile nel caso della Tahilandia, considerati gli spazi ristretti in gioco, ma il medesimo problema di recupero di persone imprigionate in ambienti sottoposti a pressione è quello degli equipaggi dei sommergibili sinistrati. La Marina Militare italiana per affrontare questo scenario particolarmente complesso impiega un minisommergibile e camere iperbariche esterne, pronte ad accogliere i sopravvissuti. "Il minisommergibile permette di raggiungere un sommergibile posato sul fondo, appontarvi ed imbarcare le persone del battello che, una volta tornate in superficie, lascerebbero il veicolo per poi transitare direttamente nelle nostre camere iperbariche dove effettuare la necessaria decompressione" spiega Rigo.
"La Marina Militare ha un impianto di questo genere a bordo di Nave Anteo - prosegue Rigo - "un certo numero di camere iperbariche disponibili presso il Comsubin a La Spezia" spiega l'ufficiale, che è anche responsabile tecnico di una di queste.
Non è la prima volta che gli esperti subacquei si trovano a dover intervenire in situazioni di emergenza analoghe a quelle della grotta a Mae Sai. Nel 1998, infatti, un incidente analogo si era verificato in una miniera in Austria, dove una frana aveva intrappolato all'interno alcuni lavoratori. Durante un primo tentativo di individuarli c'era stato un secondo crollo che, bloccando il corso di un piccolo torrente, aveva creato un lago sotterraneo di circa 100 metri di diametro e 30 di profondità. Ad alimentare il bacino anche infiltrazioni sotterranee, che avevano riempito la miniera di acqua e fango.
A causare l'aumento incontrollato di pressione era stata la quantità di fango e acqua riversatasi all'interno della miniera. Le autorità capirono che "se avessero dovuto trattare anche gli altri 10 sinistrati non avrebbero avuto altro che una camera di decompressione monoposto. Di qui è scaturita la richiesta di soccorso" spiega la Difesa sul proprio sito ricordando l'operazione Lassing.
"L'Austria non è un paese marittimo, dunque non era attrezzata a intervenire in casi simili e chiese aiuto. L'Italia intervenne con una camera iperbarica per sottoporre a trattamenti di decompressione i minatori salvati" spiega Rigo.
I palombari della Marina Militare sono intervenuti, più di recente, in almeno due casi nei quali si è reso necessario un intervento di tipo subacqueo. Si tratta dell'incidente alla Torre Piloti di Genova nel 2013 e dell'affondamento della Costa Concordia davanti all'isola del Giglio nel 2012, "a testimonianza dell’ampio spettro di attività duali e complementari che la forza armata mette a disposizione della collettività e delle istituzioni".
“Gli interventi subacquei conseguenti ad incidenti marittimi sono particolarmente complessi perché, oltre a pianificare e condurre le attività in scenari operativi non abituali ed in alcuni casi molto pericolosi, molto spesso pongono i nostri uomini di fronte alla necessità di effettuare recuperi di persone che hanno perso la vita in quel sinistro”, spiega Trucco. “Non entro nei dettagli, ma è possibile immaginare con quale coraggio e professionalità i Palombari della Marina abbiano portato a termine le missioni del Costa Concordia e della Torre piloti del porto di Genova. Li ho visti intervenire molte volte e, ancora oggi, mi sorprende la loro umanità e capacità di assolvere sempre agli incarichi che gli sono stati affidati, qualunque sia la profondità o il contesto operativo - spiega Trucco - Con una storia di 169 anni alle spalle, i Palombari rappresentano l’eccellenza nazionale nell’ambito delle attività subacquee essendo in grado di condurre immersioni lavorative fino a 1.500 metri di profondità, nell’ambito dei propri compiti d’istituto (il soccorso agli equipaggi dei sommergibili in difficoltà e la neutralizzazione degli ordigni esplosivi rinvenuti in scenari marittimi e subacquei) ed a favore della collettività”.
La Marina Militare conta su un Reparto di Pronto Impiego all'interno del Gruppo Operativo Subacquei, con sede al Comsubin. Ne fanno parte sottufficiali e Militari di Truppa brevettati palombari e diretti da un Ufficiale specializzato Subacqueo.
Tra le attrezzature e i veicoli a disposizione ci sono lo scafandro rigido A.D.S (Atmospheric Diving Suite), i veicoli filoguidati per immersioni profonde e apparecchiature di ricerca subacquee. La nave appoggio subacquei è Nave Anteo A5309.