Lifestyle
November 23 2017
In una società in cui i giovani sono sempre più spesso e sempre prima chiamati a staccarsi dalle proprie radici per cercare fortuna in un altrove spesso indefinito il sapore di casa passa (anche) attraverso l'apprendimento e l'uso del dialetto.
Se infatti la forza centrifuga messa in moto dal binomio crisi-globalizzazione porta i giovani a viaggiare, a emigrare e a cercare formazione e lavoro lontano da casa il lessico famigliare rappresenta l'ultimo scoglio di una riconoscibilità ambientale che diventa luogo d'incontro e scambio con i propri simili.
L'Italia, medievale patria di comuni e dialetti, scopre oggi di aver dato i natali a una generazione di giovani che amano e usano i dialetti dei quali sono custodi e cultori.
La tendenza è stata messa a fuoco da una recente ricerca condotta per conto di Baci Perugina che sta per lanciare un'edizione in dialetto dei classici aforismi che si trovano nei cioccolatini.
Su un campione di 3.500 italiani di età compresa tra i 18 e i 65 anni il 67% di coloro che si sono definiti "Incuriositi dal dialetto" ha detto di volerlo imparare "Per rafforzare il legame con la propria famiglia", mentre il 72% si è detto "Incuriosito dai dialetti di altre regioni".
Una tendenza del tutto in linea con quanto sta accadendo in Rete negli ultimi tempi. Youtuber, blogger, meme, Pagine Facebook o Instagram centrate sull'uso del dialetto, sulle tradizioni locali e sulle infinite declinazioni del concetto di "Essere lontani da casa, ma fieri della propria cultura".
Basti pensare a Casa Surace o Il Milanese Imbruttito, ma anche a Inchiostro di Puglia, Aforismi Romanie a Youtuber come Davidekyo, Canal- il canal e La Cristina. Si tratta di casi esemplari della capacità di brandizzare il dialetto.
Nati tutti come esperimenti di comunicazione tra amici ora sono colossi social da migliaia di clic con merchandising, pubblicazione di libri e addirittura una casa di produzione di cortometreggi per giovani talenti.
Il dialetto così diventa proficuo luogo di comicità e occasione per scherzare su modi e manie che differenziano l'Italia.
C'è lo studente meridionale fuori sede che si fa mandare i pacchi di viveri dal sud o il milanese stressato che stigmatizza la propria ansia da prestazione a suon di Traac, ma anche il romano delle borgate o il napoletano fiero della capacità di sintesi della sua cultura popolare (da "Ccà nisciuno è fesso" a "Ògne scarrafóne è bbèllo ‘a màmma sóia").
Un'Italia caleidoscopica che, per fortuna, non si sta perdendo ma che anzi viene esportata nei luoghi nuovi d'insediamento del nostro popolo di migranti. La Little Italy di New York è stata maestra in questo, ma oggi di "Little Italy" in giro per il mondo ce ne sono tante dall'Indonesia alle Canarie, dalla Svizzera alla Repubblica Dominicana.
Un ritorno alle origini voluto e fruito da una generazione costretta a tagliare il cordone ombelicale per essere contemporea a se stessa e competitiva con il resto del pianeta, ma fiera di quell'italianità squisitamente municipale che ci rende unici al mondo.