Economia
August 08 2018
Il 30 giugno 2018 sarà ricordato come il giorno della grande rivincita per l'aeronautica civile: 200 mila aeroplani nell'arco di 24 ore hanno percorso i cieli di tutto il pianeta, con un flusso parossistico tra le due rive dell'Atlantico e nel Pacifico.
Ma il trasporto aereo non era in declino? Troppo caro, troppo pericoloso, troppo esposto al terrorismo: una geremiade che per anni e anni ha martellato i persuasori occulti secondo i quali sarebbe un residuo del passato, una storia del secolo scorso.
I fatti, invece, smentiscono anche questo luogo comune. Tante volte gettato nella polvere, l'aeroplano risale sugli altari. Già negli anni '70, durante lo choc petrolifero, si era detto che volare tornava a essere un lusso per pochi. Invece è arrivata la liberalizzazione dei cieli. Ricordiamo tutti l'11 settembre, con i jumbo trasformati in simbolo dell'orrore. Eppure, tutto è ricominciato come prima più di prima. Poi il grande crac del 2008 e la peggiore recessione del dopoguerra. Un altro colpo durissimo, ma nemmeno questo mortale. E con la ripresa economica, il volo vive una nuova giovinezza.
L'aereo non ha alternative: se nel breve raggio gli può far concorrenza il treno ad alta velocità, nel medio e lungo raggio non c'è nulla che possa rimpiazzarlo. La gente, del resto, vuole viaggiare, sempre di più, sempre più lontano, in barba a tutti i gufi della globalizzazione, agli stregoni della decrescita felice. E non sono solo gli asiatici ebbri di improvviso benessere; no, in coda agli imbarchi ci sono gli europei e gli americani.
Possiamo chiamarlo il trionfo postumo di Juan Trippe. Forse solo gli storici dell'aeronautica ricordano questo uomo d'affari americano che novant'anni fa ha aperto l'era dell'aviazione civile con la sua Pan American. Nel 1957 fu lui a mandare in pensione le grandi navi transatlantiche, sempre lui ha introdotto i motori a reazione sui voli passeggeri e nel 1965 ha ordinato alla Boeing il primo Jumbo. Con la classe turistica ha anticipato le low cost, passando idealmente il testimone a un altro visionario innovatore, l'irlandese Michael O' Leary, che ha cambiato il paradigma.
Adesso anche Mr. Ryanair sembra arrivato al culmine della sua parabola: tra scioperi e ristrutturazioni, calo in Borsa e taglio degli organici, con i sindacati all'assalto della cittadella del liberi cieli e i passeggeri, lasciati a terra, sempre più inferociti, si sta mettendo in moto un'altra grande trasformazione che coinvolge anche i lavoratori. I piloti non sono come i minatori degli anni '60, ma non assomigliano nemmeno ai mitici bellimbusti dei quali s'innamoravano tutte le ragazze.
Il trasporto aereo nel secolo scorso ha rappresentato un volano tra i più importanti per l'innovazione tecnologica e lo sviluppo industriale. La sua funzione non è cambiata nell'economia contemporanea, anche grazie alla rivoluzione digitale: i computer e la rete sono arrivati per primi nelle torri di controllo, nelle cabine o nelle agenzie viaggi.
Oggi una delle maggiori guerre di mercato tra Europa, America e Asia si combatte proprio per il controllo dei cieli. Gli appuntamenti canonici di Le Bourget in Francia e Farnborough in Inghilterra hanno offerto solo qualche antipasto. Il mercato dei produttori si concentra. Airbus ha acquistato i velivoli commerciali della canadese Bombardier, Boeing ha risposto comprando l'80 per cento della brasiliana Embraer nei jet regionali.
È ricominciata persino la corsa al super supersonico: l'amministrazione Trump ha deciso di finanziare l'erede del mitico Concorde costruito dall'Airbus, mandato in pensione nel 2003: dal 2021 collegherà Londra a New York in sole tre ore. Gli Stati Uniti vogliono prendersi una rivincita sull'Europa. Industria manifatturiera, servizi, infrastrutture, una filiera complessa che dalla fabbrica arriva agli aeroporti, vera chiave strategica dell'intero settore.
In questi anni è partita una corsa per assicurarsi gli scali migliori, che non sempre sono i più grandi. E l'Italia, dove l'anno scorso sono transitate 174 milioni di persone, non è da meno. Il fondo sovrano di Dubai ha appena deciso di investire negli scali di Firenze e Pisa entrando in società con Corporation America Italia, la società controllata dal magnate argentino di origine armena Eduardo Eurnekian.
Il fondo F2i controlla Napoli, Bologna, Torino, Alghero; il gruppo Benetton ha Fiumicino, Ciampino, Nizza. Tutti cercano di crescere ancora. La Iata, l'associazione internazionale del trasporto aereo, stima che quest'anno i profitti netti aggregati delle aviolinee in tutto il mondo saranno di 33,8 miliardi di dollari.
E le compagnie aeree risorgono come la mitica fenice. Quante volte è morta l'Alitalia? È ancora nulla rispetto alla Pan Am. In bancarotta già nel 1991, ha avuto sei reincarnazioni, la più recente sette anni fa con il nome Paaglobal, ovvero Pan American Airways Global Holding. La sua acerrima concorrente, la Twa, Trans World Airlines, portata al successo da un altro campione dei cieli, Howard Hughes, ha chiuso i battenti nel 2001 ed è stata assorbita da American Airlines.
E quante altre sono rimaste a terra, sigle gloriose diventate solo un ricordo: Boac, Bea, Continental, Eastern, Ati, Sabena. Hanno trasportato milioni di passeggeri in ogni continente per oltre mezzo secolo, con i Caravelle, Tristar, Constellation (detto Connie), Dc8, B707, Jumbo, o l'elegante Concorde. Di loro che cosa resta? Polvere, immagini sbiadite? Debiti; quelli sì, perché chiunque salga a bordo si rende conto quanto costa far alzare da terra quei giganteschi uccelli meccanici.
L'Europa, dove imperava il modello della compagnia di bandiera pagata dallo Stato e monopolista nei voli a lungo raggio così come nelle migliori tratte domestiche (si pensi a Roma-Milano), s'è illusa per un po' di farla franca, ma ha seguito anche lei la sorte degli Stati Uniti. Adesso nel Vecchio Continente sono rimasti solo tre colossi: Air France, nella quale lo Stato francese ha mantenuto una quota chiave (il 15,9 per cento); Lufthansa, legata strettamente al sistema tedesco (banche più poteri pubblici locali); British Airways, privata ma troppo grande per fallire. Le big three si sono mangiate tutte le altre, tranne l'Alitalia tenuta in vita con iniezioni di denaro pubblico che a questo punto rischiano di rivelarsi letali.
Chi prenderà la compagnia italiana: la Lufthansa (l'unica ad aver inviato una lettera d'intenti), l'inglese Easyjet o la cordata Air France-Delta? Forse nessuna di loro, perché il governo vuole ricominciare da capo. A settembre si farà una nuova gara con nuovi parametri.
Il ministro Danilo Toninelli ha detto che deve restare "vettore nazionale e avere al centro l'italianità". Dunque, una nazionalizzazione, magari non integrale, con la Cassa depositi e prestiti nel ruolo di Figaro (tutti la vogliono, tutti la chiedono), le Poste, le Ferrovie dello Stato. E magari Lufthansa che ha detto di accontentarsi anche di una quota minoritaria.
Potrebbero essere coinvolti altri "capitali coraggiosi" e si parla di trasformare in azioni il prestito di 900 milioni concesso per tenere in vita la compagnia. La Filt Cisl propone di associare i dipendenti, soprattutto i piloti, come nella United o in Air France. Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia, la società del gruppo Benetton che possiede Autostrade e l'aeroporto Leonardo da Vinci, trova l'idea interessante. Per lui è importante avere la sponda di una aviolinea egemone, anche al fine di potenziare l'hub romano (l'obiettivo è raddoppiarlo): il Charles de Gaulle ha l'Air France, Francoforte la Lufthansa, Atlanta la Delta e Fiumicino l'Alitalia.
C'è molto fumo, vedremo se sotto si nasconde anche dell'arrosto. Ma una cosa è chiara: il trasporto aereo resta un grande affare, bisogna avere i denari, il supporto delle infrastrutture (aeroporti, metropolitane, treni, autostrade), ma soprattutto uomini con lo spirito da innovatori, lo spirito di Trippe o di O'Leary.
(Articolo pubblicato sul n° 32 di Panorama in edicola dal 2 agosto 2018 con il titolo "La grande corsa")