Tecnologia
May 05 2016
Ogni giorno, intorno alle 17.30, la macchina di Mario si incastra nel traffico.
Per un’ora buona l’uomo non farà altro che alternare freno e frizione, maledicendo tutti quelli che – esattamente come lui – stanno ingolfando la tangenziale impedendogli di raggiungere casa in tempi accettabili.
Quello di cui Mario non si rende conto, è che il traffico non è un fenomeno meteorologico, è fatto dalle persone, e che si fermerebbero meno code se lui e tutti gli altri evitassero di sgasare ogni volta che si apre un corridoio per poi inchiodare pochi metri più avanti.
Sono anni che si parla di come le auto senza pilota e le smart-street risolveranno il problema del traffico (avevamo affrontato l’argomento in tempi non sospetti), e di come un’intelligenza artificiale centralizzata consentirà di gestire a monte i flussi urbani.
In un futuro in cui la maggior parte dei veicoli sarà dotata di una tecnologia V2V (acronimo per Vehicle to Vehicle), le diverse automobili saranno in grado di comunicare tra loro e coordinarsi in modo da assestarsi su una velocità di crociera ottimale; non solo: un’automobile V2V sarebbe in grado di comunicare a quelle dietro la presenza di una vettura ferma in corsia, l’arrivo di un pirata della strada che ha bruciato un semaforo o la presenza di un terzo veicolo in un punto morto non inquadrabile dagli specchietti.
Tuttavia, questo scenario tanto promettente è ancora lontano dall’essere realizzato: le auto senza pilota non vengono ancora prodotte in serie (esiste un problema di sicurezza ancora irrisolto), le strade non sono dotate del necessario set di sensori e gli algoritmi necessari a chiudere il concetto di traffico nel cassetto della storia non sono ancora stati perfezionati.
La tecnologia V2V, però, esiste già, e verrà a breve implementata in alcune zone degli Stati Uniti e in alcune vetture (Cadillac immetterà sul mercato le prime auto comunicanti nel 2017). Il che è un’ottima notizia.
Le code: ecco come si formano
Come ha dimostrato un studio condotto in Giappone nel 2008, le code si formano con un effetto domino paragonabile alla propagazione delle onde d’urto prodotte da un’esplosione: un rallentamento alla testa della coda provoca un’onda che procede a ritroso costringendo altre auto a rallentare e a fermarsi, per poi procedere a singhiozzo, moltiplicando il numero di soste e ripartenze e, quindi, dilatando i tempi di sosta.
Queste onde sono state chiamate “jamitons” (in inglese, “jam” è il termine colloquiale usato per “traffico”) e, a differenza dei fenomeni meterologici, esiste un modo per evitare che si formino: muoversi tutti, e stabilmente, a una velocità inferiore.
Il che, seppur teoricamente possibile, è praticamente infattibile. Chiunque, persino probabilmente gli scienziati che hanno scoperto i “jamitons”, hanno la tendenza a pestare sull’acceleratore nell’assurda convinzione di poter ingannare il traffico: trovi uno spazio libero e ti ci infili di corsa, senza renderti conto che per guadagnare quella frazione di secondo stai propagando un’onda che farà perdere a centinaia di altre persone un’ora della propria vita.
Insomma: l’essere umano è impulsivo, e nel traffico tende a mettere in panchina la razionalità più facilmente che in altre occasioni. Un sistema di cruise-control che si appoggi all’interconnessione tra vetture e regoli automaticamente la velocità di un’auto a partire dalla zona che sta attraversando, potrebbe risolvere, o quantomeno arginare, il problema. Stando agli studi del ricercatore William Beaty, basterebbe che il 10% delle auto in circolazione fossero dotate di un simile sistema, per ridurre drasticamente il numero di code.
Nell’attesa che i sistemi V2V prendano piede, rimane solo da sperare che Mario scopra l’esistenza dei “jamitons” e che si decida a tenere il piede lontano dall’acceleratore. Magari non risolverà il problema, ma sarebbe un primo passo nella giusta direzione.