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Trattativa Stato-Mafia: le balle di Spatuzza

UPDATE: Questo articolo è stato pubblicato il giorno 5 maggio 2018. A un mese dalla sua pubblicazione abbiamo ricevuto una nota di commento da parte di Enrico Deaglio che pubblichiamo in fondo.

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Il Venerdì di Repubblica rivela questa settimana un clamoroso scandalo giudiziario. L’articolo s’intitola, perentoriamente, “Affaire Stato-mafia, riassunto per i distratti” e racconta una storia pazzesca: che il processo sulla Trattativa Stato-mafia, appena conclusosi a Palermo, è stato fondamentalmente un errore, “un misto di grottesco e surreale” che ha spinto la giustizia su un binario morto, lontano dalla verità. E attenzione, perché l’autore dell’articolo è Enrico Deaglio, uno che di cose di Cosa nostra s’intende parecchio.

Deaglio, va detto, scrive veramente da Dio, è avvincente. Racconta di un’altra Trattativa tra mafia e politica, totalmente diversa e ben più suggestiva rispetto a quella dei pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Deaglio rivela che il vero depositario della verità, un pentito siciliano, fu ascoltato in carcere già nel 1997 da due alti magistrati. Il pentito raccontò loro fatti precisi e circostanziati sulle stragi del 1992-93, fatti che chiamavano in campo una precisa forza politica.

Ai due alti magistrati, scrive Deaglio, il pentito raccontò “una storia terribile”. E cioè che “l’omicidio Borsellino l’aveva organizzato lui, e così le stragi di Roma, Firenze e Milano (…) Ad organizzare tutto – da un’idea di Marcello Dell’Utri, disse il pentito - era stata la famiglia mafiosa dei Graviano, socia in affari della Fininvest, per facilitare la neonata Forza Italia e per prendere il potere politico”.

Che cosa accadde di quell’interrogatorio? Perché per 21 anni quella “storia terribile” è stata tenuta nascosta? Tuffandosi nell’ennesimo mistero d’Italia, Deaglio aggiunge che “tutte quelle rivelazioni vennero riscontrate (cioè verificate e trovate vere, ndr), ma secretate (cioè poste sotto il segreto investigativo, ndr). Solo nel 2015 l’opinione pubblica venne informata del caso, invero piuttosto imbarazzante, ma la questione non suscitò il minimo interesse”.

Grande storia, davvero. Però… è meglio fare un po’ d’ordine. Il pentito di cui scrive Deaglio è più che noto alle cronache ed è tutt’altro che un uomo nascosto, o che non ha avuto modo di raccontare quelle presunte “verità”: è Gaspare Spatuzza, uno dei più tardivi e controversi collaboratori di giustizia dell’era moderna.

Spatuzza, va detto, ha una storia che veramente travalica il più cupo dramma shakespeariano: accusato di sei stragi e 40 omicidi, ha collezionato numerosi ergastoli e ora si redime avvolgendosi in una specie di crisi mistica. Tra i suoi delitti c'è il peggio della cronaca nera siciliana degli ultimi decenni: dall'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Santino che fu sciolto nell’acido, all’omicidio di Don Pino Puglisi, fino alla partecipazione alla strage di Paolo Borsellino e della sua scorta.

Malgrado questo mostruoso curriculum, Spatuzza è stato però in qualche modo riscattato dalle cronache nostrane. Non perché si sia convertito alla religione, ma perché, dopo essersi pentito nel 2008, ha dichiarato che, creando Forza Italia, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri si trasformarono nei nuovi referenti della mafia nella Seconda Repubblica.

Spatuzza ha raccontato anche che le stragi del 1992-93, così come il mancato eccidio all’Olimpico di Roma del 1994, furono di fatto concordate con i vertici di Forza Italia (che in realtà ancora non esisteva): insomma, le stragi mafiose sarebbero state un “favore” nei confronti del partito nascente contro la vecchia guardia politica della Prima Repubblica, che veniva costretta a ritirarsi. Sempre secondo Spatuzza, in cambio Cosa nostra avrebbe avuto il suo nuovo referente politico in Berlusconi e nei suoi accoliti.

Il problema è che Deaglio sul Venerdì scrive che Spatuzza consegnò già nel 1997 tutte queste presunte “verità” alla giustizia. E per le sue rivelazioni scelse personaggi di prim’ordine: “Convocò l’allora procuratore antimafia Piero Luigi Vigna e il suo vice Pietro Grasso” scrive Deaglio. Il problema, aggiunge il giornalista, è che “tutte quelle rivelazioni vennero riscontrate, ma secretate”, restando così inutilizzate per troppo tempo.

Insomma, insiste Deaglio: c’è stata una vera Trattativa Stato-mafia totalmente diversa da quella di cui abbiamo letto finora; e anche la sentenza di Palermo di due settimane fa “non avvicina ad alcuna verità”.  Perché purtroppo, “la narrazione alternativa sulle stragi, fornita 21 anni fa ai vertici della magistratura italiana, si è intanto persa per strada”.

Eppure le cose non stanno proprio così. E anche la storia è un po’ diversa, a partire da alcuni dettagli importanti: l’interrogatorio, infatti, si svolse non nel 1997, ma nel giugno 1998; e Spatuzza non “convocò” affatto i due alti magistrati antimafia, perché furono loro ad andare a sentirlo nel carcere dell’Aquila. Spontaneamente.

Ma, soprattutto, il verbale di Spatuzza non fu affatto “secretato”. Né fu nascosto all’opinione pubblica, al contrario di quanto scrive Il Venerdì, ferendo così la memoria di un ottimo, grande magistrato nel frattempo deceduto (Vigna) e anche il buon nome di chi fu il suo successore a capo della Procura nazionale antimafia (Grasso), per poi essere eletto presidente del Senato della Repubblica.

In realtà non fu nemmeno stilato un verbale. Perché quello con Spatuzza, in quel momento ancora non collaboratore di giustizia, non fu un normale interrogatorio in carcere, bensì un “colloquio investigativo”. La differenza non è da poco: il “colloquio investigativo” (un contatto con magistrati della Procura nazionale antimafia che per esempio può servire a convincere un mafioso a collaborare con la giustizia) è infatti un atto estraneo alla normale procedura penale. Il colloquio si svolge senza difensore e in modo informale, e se anche viene registrato ne è esclusa la verbalizzazione. Per tutto questo, correttamente, la legge proibisce che gli elementi raccolti in quel modo possano essere utilizzati in ambito processuale.

Questo è il vero motivo per cui quel colloquio del giugno 1998 non è mai stato usato in un’aula di giustizia: non perché “fu secretato”, come scrive Deaglio, ma solo perché la legge vieta espressamente che atti di quel genere siano utilizzabili in giudizio.

Quanto al contenuto di quel colloquio, vale soltanto la pena di ricordare che le presunte “rivelazioni” di Spatuzza su presunti accordi tra la mafia e Berlusconi sono state ripetute molte altre volte in varie aule di giustizia, ma sono anche state giudicate “infondate”. È stato così soprattutto nelle motivazioni della sentenza (19 novembre 2010) con cui i giudici della seconda sezione della Corte d'appello di Palermo hanno confermato la condanna di Marcello Dell'Utri a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

Un capitolo delle motivazioni di quella sentenza è dedicato proprio a Spatuzza, descritto come "uno dei più attivi protagonisti della strategia stragista": le sue dichiarazioni sono state tacciate dai giudici della Corte d’appello di Palermo come "tardive e inattendibili”, oltre che contraddette “dall’assoluta mancanza di qualsivoglia riscontro”. Scrivono i giudici di Spatuzza: “S’impone pertanto di ritenere il contributo che egli ha offerto nel processo sostanzialmente inconsistente, oltre che privo di significativa rilevanza e valenza probatoria”.

Già. A volte servirebbe proprio un riassunto per i distratti…

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Riceviamo da Enrico Deaglio e volentieri pubblichiamo:

Ringrazio per l’attenzione con cui Panorama, a firma di Maurizio Tortorella, ha ripreso la mia ricostruzione dell’affaire “Stato mafia” e della recente sentenza di Palermo. Ci sono però inesattezze ed errori che mi preme segnalare. In particolare - contro i dubbi espressi nell’articolo - confermo che Gaspare Spatuzza, a partire dal 1997, anno del suo arresto a Palermo, diede ai magistrati della DNA Vigna e Grasso molti elementi utili per ricostruire la stagione delle stragi di cui era stato protagonista.

Per brevità: Spatuzza disse che le stragi furono eseguite dalla famiglia Graviano su input di Marcello Dell’Utri. Non solo, ma spiegò nel dettaglio che polizia e procura di Caltanissetta avevano commesso un clamoroso errore giudiziario riguardo alla strage di via D’Amelio, per cui diverse persone innocenti stavano scontando l’ergastolo. Tutto il verbale del “colloquio investigativo” (sono settanta pagine di domande e risposte, che vi invito a leggere, e - perché no? - a pubblicare) si trova digitando su Google “Spatuzza - Il Post”; il testo (purtroppo non ancora l’audio)  è riemerso - e nessuno ha spiegato dove era stato fino ad allora -  solo dopo 17 anni, nel 2015.

Nel 1998 le dichiarazioni di Spatuzza alla DNA, che contenevano notizie di reato, fatti allora sconosicuti, notizie di depistaggio, e impulsi per ulteriori indagini, furono comunicate - come prevedono la legge, il buon senso e la morale civile- agli investigatori e alle procure interessate, ma rimasero senza effetto per almeno dieci anni. Nel 2005 Massimo Ciancimino fornì ai magistrati di Palermo una versione alternativa delle stragi, a partire dall’omicidio Borsellino. Diversi magistrati siciliani gli credettero e imbastirono il processo detto della “trattativa”, che io  - per bontà d’animo - ho definito surreale, invece che scandaloso. Segnalo ancora che il verbale del colloquio investigativo è stato infine acquisito agli atti al processo Borsellino Quater ed è quindi un atto pubblico, utilizzabile da chiunque (procure, avvocati, opinione pubblica, giornali, CSM) sia ancora interessato a ristabilire la verità.
Per quanto mi riguarda, ho depositato tutti i documenti in mio possesso alla Commisione Antimafia nel novembre 2017, su invito della Commissione stessa. Ho aggiunto anche la mia interpretazione dei fatti, chiedendo espressamente che non fosse secretata.
Cordiali saluti, Enrico Deaglio

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