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July 06 2018
Nonostante il giudice conservatore della Corte Suprema americanaAnthony Kennedy si sia opposto per ben 30 anni di carriera alle pressioni dei più radicali di voler mettere in discussione il diritto all'aborto, adesso che ha dato le dimissioni tutto questo rischia il ribaltamento. Dietro a cui c'è il presidente Trump.
Due sono le date fondamentali che hanno segnato il mandato di Kennedy. Nel 1992 fu suo il quinto voto in un giudizio che riaffermò la “Roe vs Wade”, ovvero la prima sentenza della Corte Suprema del 1973 che dichiarava l'aborto come un diritto costituzionale. Mentre nel 2016 interpretò lo stesso ruolo nel colpire una legge del Texas che limitava l'interruzione volontaria di gravidanza nello stesso Stato.
Ora il ritiro dell’anziano Kennedy ha scatenato sia la speranza (per i conservatori) che la paura (per i democratici) di riuscire a rovesciare la “Roe”. La sua sostituzione con un nuovo giudice al Congresso meno liberal (e più giovane) non vieterebbe in assoluto l'aborto ma permetterebbe a ogni Stato di fare leggi ad hoc sul tema. E questa sarebbe una catastrofe epocale per gli Stati Uniti. Per prima cosa, l'aborto diventerebbe immediatamente illegale in quattro Stati che sono assolutamente conservatori: Louisiana, Mississippi, North Dakota e South Dakota.
E qui entra in campo più che mai Donald Trump. Durante la sua campagna presidenziale il Tycoon ha promesso di nominare dei giudici "pro-vita" alla Corte Suprema e da allora il presidente ha stilato una lista di 25 candidati conservatori da cui probabilmente arriverà la sua nuova scelta. Tutti i papabili sono stati approvati dalla Federalist Society, la principale organizzazione americana di avvocati di destra, e molti di loro sono noti per essere giovani, inflessibili conservatori.
Il potere esercitato dalla Corte Suprema sull'aborto è elevatissimo. Questo è insolito tra i Paesi occidentali, in Europa infatti l'aborto è generalmente legalizzato attraverso la legislazione, a volte anche dopo un referendum, come è avvenuto in Italia nel 1978. Le leggi europee sull'aborto sono state protette negli anni anche sulla base della salute della donna. Ma negli Usa è diverso.
Il 22 gennaio 1973 la Corte Suprema, con una maggioranza di 7 voti a 2, decretò l’incostituzionalità della legge del Texas che vietava l'aborto. La tenacia di Jane Roe (la donna bisessuale, alcolizzata e tossicodipendente che, rimasta incinta dopo uno stupro, si era rivolta al Tribunale di Dallas per invocare il suo diritto all’aborto) aveva vinto contro il conservatorismo di Henry Wade, il procuratore distrettuale della contea di Dallas che aveva rappresentato lo Stato del Texas in primo grado, vincendo, e in appello davanti alla Corte Suprema quando i giudici invece avevano decretato l’interruzione di gravidanza come un diritto costituzionale che può avvenire “per qualsiasi ragione” per tutto il primo semestre di gestazione, mentre negli ultimi tre mesi solo “per ragioni di salute”.
Poiché però questa sentenza si è basata su un'interpretazione controversa della Costituzione, gli oppositori hanno sempre tentato, e tentano tuttora, di ribaltarla.
Sicuramente perché ciò possa avvenire potrebbe passare del tempo in alcuni Stati americani, ma in altri, come il Missisipi che vieta l’aborto dopo la 15esima settimana e in Iowa dove l’interruzione di gravidanza viene impedita se rilevato il battito cardiaco fetale che di solito avviene a circa 6 settimane, le restrizioni diventerebbero certezza immediata.