News
January 27 2018
L’America è diventata: the place to be! Questa è la sostanza del discorso di Donald Trump a Davos.
Taglio epocale delle tasse e taglio epocale della burocrazia, per il nuovo Eldorado d’investitori e capitani coraggiosi. L’America è di nuovo attraente per chi ha idee, capitali e voglia di fare.
Un quarto d’ora di discorso, nel quale Trump è parso sempre a suo agio. Anche questa è una notizia per uno come lui, che qui a Davos, prima di entrare in politica e diventare Presidente (perché se avesse perso, figurati!), non veniva invitato neanche per sogno.
Di fronte all’élite mondiale dell’economia, della finanza e di tutti quelli che contano davvero sul pianeta terra, Trump ha tenuto quello che si può definire, per essere originali, un bel discorso. Ha parlato di reciprocità, ha parlato di correttezza, ha parlato di condivisione.
Mutatis mutandis ricorda, per visione, il discorso di Obama al Cairo del 2009, un discoro iconico (poi deluse ogni aspettativa, ma questa è un’altra storia): l’unica differenza è appunto che Trump non è Obama.
Trump è un Presidente meteorologico, sullo stile “temperatura reale e temperatura percepita”; a Davos ha detto commercio equo (adesso parla come un no global? Ha detto fair, che si traduce in effetti “equo” come l’usata formula “equo e solidale”), ha detto letteralmente reciprocità, però la notizia principale è stata, ancora una volta, Trump voleva licenziare Mueller.
Questo décalage, questo slittamento tra ciò che Trump fa e dice e ciò che riverbera è la cifra della sua Presidenza, che, come ogni Presidenza, ha nel rapporto coi Media uno snodo critico. E i rapporti, al momento, sono in modalità “guerra totale”.
Fa anche rima, ma un Trump così bilaterale, un Trump che richiama al rispetto della concorrenza e della proprietà intellettuale, che anche nel tono di voce abbandona le modulazioni aggressive o sarcastiche, è un Trump lontano dall’impresentabile parvenu che dall’olimpo di Davos, si diceva, era assente fisso.
Lo ha fatto capire Trump, quasi con umiltà, nella breve Q&A session dopo il suo discorso. Conversando con Klaus Schwab, il fondatore del World Economic Forum, Trump si è riferito ai 15 leader dell’industria mondiale incontrati a cena la sera precedente, tutte figure di chiara fama che prima non conosceva di persona (solo attraverso le news) e che ora è onorato di aver conosciuto e di considerare i suoi 15 nuovi amici.
Vedremo ora quale reciprocità sapranno dimostrargli questi nuovi amici; se anche non fosse di natura personale, empatica per cose dire, lo sarà probabilmente dal punto di vista economico, in fondo, la sola cosa che conta a Davos.
Certo Trump era proprio di ottimo umore: ha ringraziato dal palco la sua delegazione immensa, molti collaboratori nome per nome, e ha ringraziato chi porterà milioni di dollari negli Stati Uniti così come chi “porterà 10 dollari”.
Ora, anche se avesse giocato il ruolo del bravo ragazzo, dell’aspirante fidanzato invitato a cena dall’altolocata famiglia di lei, è però indubbio che in Svizzera Trump non ha sfigurato e non ha detto nulla di bombastic.
Dalla sua bocca sono uscite solo cose sagge, idee costruttive, e un inno alla prosperità non solo americana, ma di tutti. Più precisamente: ha fatto insiemistica. Ha detto: siccome l’America è la principale economia mondiale, la sua prosperità significa la prosperità di tutti.
Trump insomma voleva comportarsi bene e l’ha fatto. Ha detto, probabilmente, le cose che il Forum voleva sentirsi dire. Che poi le pensi davvero, in fondo, non interessa, perché c’è la sostanza del taglio fiscale e soprattutto (non sono proprio la stessa cosa) della riforma fiscale che apre le porte dell’America a capitali freschi e ambiziosi.
E peraltro nemmeno l’élite inarrivabile di Davos appare del tutto sincera con Trump: lo sta accettando o solo tollerando?
Rimane insomma preoccupata per l’indole dell’uomo e il rischio di crisi geopolitiche?
Diciamo che un Trump senza Twitter potrebbe definitivamente conquistare Davos l’anno prossimo, se tra 12 mesi la foto di famiglia dovesse rimanere identica a oggi.
Su chi governa il mondo c’è da scommetterci, su Trump meno, almeno fino a quando il Russiagate incomberà sulla sua testa.