Trump e l'Onu: il grande gelo

Donald Trump ha intenzione di tenere una linea di severità nei confronti delle Nazioni Unite. A certificarlo è la scelta della deputata repubblicana Elise Stefanik come prossima ambasciatrice americana all’Onu. La diretta interessata è infatti una storica critica delle Nazioni Unite: le ha più volte accusate di promuovere una linea antisemita e ostile allo Stato di Israele.

“Se l'Autorità nazionale palestinese dovesse avere successo nel suo intento antisemita, ciò comporterebbe una completa revisione dei finanziamenti statunitensi alle Nazioni Unite. I contribuenti americani non hanno alcun interesse a continuare a finanziare un'organizzazione che Joe Biden e Kamala Harris hanno lasciato marcire nell'antisemitismo”, ha dichiarato la Stefanik a ottobre. “La scorsa settimana, le Nazioni Unite hanno approvato a larga maggioranza una vergognosa risoluzione antisemita per chiedere che Israele si arrenda ai terroristi barbari che cercano la distruzione sia di Israele che dell'America”, ha inoltre affermato a settembre.

Scegliendo la Stefanik come prossima ambasciatrice americana all’Onu, Trump punta quindi a rassicurare Israele e a lanciare contemporaneamente un monito alle Nazioni Unite. Il presidente in pectore mira d’altronde a ripristinare gli Accordi di Abramo: la sua idea è quella di promuovere un riavvicinamento tra israeliani e sauditi, mettendo al contempo sotto pressione l’Iran. Dall’altra parte, Trump vuole rispolverare il cosiddetto “accordo del secolo”, per cercare di porre fine al conflitto israelo-palestinese. Ricordiamo che, oltre agli storici rapporti con Benjamin Netanyahu e Mohammad bin Salman, Trump ha di recente avviato una distensione anche con Abu Mazen. Il tycoon vuole quindi lasciarsi alle spalle le posizioni ambigue tenute finora dalle Nazioni Unite sulla questione mediorientale e punta a risolverla giocando di sponda con questi tre leader.

Ma il Medio Oriente non è l’unico dossier su cui Trump andrà probabilmente allo scontro con l’Onu. Il presidente in pectore ha infatti intenzione di uscire nuovamente dall’Accordo di Parigi sul clima. Potrebbe, in particolare, notificare il suo abbandono già il giorno stesso dell’insediamento alla Casa Bianca. Il tycoon non ha del resto mai fatto mistero di voler lasciare quell’intesa. Trump punta infatti a dare un segnale forte ai colletti blu della Rust Belt che temono gli impatti socioeconomici di alcune politiche green troppo radicali. Non solo. Il presidente in pectore vuole anche rilanciare i settori di petrolio e gas, per salvaguardare l’indipendenza energetica degli Stati Uniti. Infine, ma non meno importante, Trump ha sempre considerato gli Accordi di Parigi come uno strumento per garantire alla Cina di portare avanti una concorrenza sleale ai danni di Washington.

Un ultimo fronte di fibrillazione con l’Onu sarà probabilmente quello sanitario. Al di là della nomina di Robert Kennedy jr al dicastero della Salute, Trump, già durante il primo mandato, aveva avuto degli scontri con l’Organizzazione mondiale della Sanità. In particolare, nel 2020 il tycoon la accusò di essere un “burattino della Cina”. Annunciò poi uno stop dei finanziamenti americani a questa agenzia, avviando infine le procedure per il suo abbandono: un processo, quest’ultimo, che è stato successivamente bloccato da Biden. Non è affatto escluso che Trump possa ripristinare l'approccio duro con l’Organizzazione mondiale della Sanità. Il punto è che, non del tutto a torto, il tycoon vede ormai l’Onu come sempre maggiormente soggetto all’influenza politica di Pechino. E questo spiega, almeno in parte, la linea di severità che l’amministrazione americana entrante vuole promuovere nei confronti delle Nazioni Unite.

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