Economia
September 21 2018
L'annuncio da parte degli USA di tariffe del 10% su ulteriori 200 miliardi di dollari su prodotti importati dalla Cina ha lasciato non poche perplessità tra gli investitori. Alcuni interpretano la decisione come una mossa "politicamente astuta" che suggerisce "uno spostamento delle tensioni commerciali dalla rappresaglia a un confronto più strategico". La battaglia a suon di dazi e svalutazioni delle moneta (da parte cinese), insomma, è destinata a essere rinviata al 2019. Questa è la conclusione cui sono giunti in molti.
Ed è quello che scrive in una nota ai clienti Norman Villamin, capo economista della divisione private banking della banca elevetica Union Bancaire Privée. "Imponendo le tariffe del 10% fino alla fine dell'anno invece del previsto 25%, l'amministrazione Trump limita l'impatto sull'economia statunitense prima delle importanti elezioni di metà periodo di novembre" spiega l'esperto. Ma che verso prenderanno le tensioni commerciali tra le due potenze dopo il voto?
Villamin ha ipotizzato due scenari. Il primo: Pechino e Washington raggiungono un compromesso in vista delle elezioni di medio termine di novembre negli USA. L'esperto, in questo caso, si aspetta una tariffa del 25% su 250 miliardi di dollari di importazioni cinesi in America a partire dal 2019 cioè su poco più della metà dei prodotti venduti dal Dragone negli States. L'impatto sull'economia cinese sarebbe contenuto, con una riduzione dell'0,8 per cento del Pil che si fermerebbe al 6 per cento annuo dall'attuale 6,8 per cento. La People's Bank of China in questo caso per compensare le nuove tariffe potrebbe svalutare lo yuan fino a 7,30 dollari dagli attuali 6,84.
Lo scenario peggiore, invece, prevede un'intensificazione della guerra commerciale tra i due paesi e un'ostilità prolungata ben oltre le elezioni di medio termine negli Stati Uniti, che potrebbero decidere di estendere il dazio del 25 per cento su tutte le importazioni cinesi pari a 450 miliardi di dollari. In questo caso il Pil cinese potrebbe ridursi dell'1,4 per cento a 5,5 per cento, costringendo Pechino a una forte svalutazione dello yuan fino a circa 8 contro il dollaro. In questo caso non è escluso che la contromossa cinese possa avere pesanti ripercussioni sui mercati finanziari globali, come già visto a inizio 2016, e anche sull'economia globale.
Nonostante le ipotesi, anche quelle più nere, gli investitori sono stati comunque impressionati dalla moderazione cinese di fronte alla rinnovata aggressività commerciale di Trump. "L'aspetto più evidente è stato il fatto che questa volta la Cina non ha proceduto a svalutare lo yuan. Del resto, la valuta cinese a questi livelli riesce a pareggiare i danni causati da dazi con aliquota interamente al 25 per cento, ipotesi invece che Trump ha rinviato al prossimo gennaio" ha spiegato Antonio Cesarano, capo strategist globale di Intermonte SIM.
Dal punto degli investimenti, infine, Witold Bahrke, strategist del fondo di investimento della banca scandinava Nordea, spiega che la guerra commerciale continuerà a limitare la propensione al rischio degli investitori a livello globale, favorendo il dollaro e l'azionario statunitense rispetto a regioni più correlate al commercio globale. Le recenti mosse di Trump, insomma, continuano a far felice Wall Street.