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April 19 2018
Per l’avvocato personale di Donald Trump, Michael Cohen, lo show business ha giocato in grande. Robert De Niro e Ben Stiller si sono calati nei panni di Robert Mueller e di Michael Cohen, appunto, in una gag al celeberrimo SNL (Saturday Night Live); e quando Stiller/Cohen chiede a De Niro/Mueller quale sia il nome in codice che gli è stato affibbiato nell’indagine, si sente rispondere: dead man walking.
È questo in fondo il grande interrogativo, divenuto via via una certezza: bruciare Cohen significa bruciare Trump. L’errore del Presidente, ecco il passaggio cruciale, inizia prima della Presidenza, e cioè risale alla fiducia totale che Trump ha riposto nel suo avvocato personale, per ogni tipo di situazione: dall’immobiliare alle pornostar.
Una situazione descritta da un banale proverbio come "don’t put all your eggs in one basket", che ha equivalenti a ogni latitudine, perché è senso comune "non mettere in un solo cesto tutte le uova" a patto, restando legati alla metafora, che Trump l’abbia fatto con Cohen.
Così sembrano pensarla gli investigatori mandati da Mueller a perquisirgli l’ufficio (di Cohen non di Trump) e qui il gioco di parole cade a proposito perché i due uffici, nella mente dell’accusa, coincidono.
Secondo il New Yorker questa perquisizione è l’ultimo atto della Presidenza di Trump. Un pronostico autorevole ma ugualmente aleatorio, perché non esiste in politica rapporto di causa effetto tra colpa e punizione (nemmeno nel puritano sistema legislativo statunitense); quello che invece è indubitabile è il perfetto sincrono tra la carriera d’imprenditore spregiudicato di Trump e la carriera di Cohen come suo avvocato.
L’equazione di Mueller è dunque impietosa: le gravi accuse imputate a Cohen - riciclaggio di denaro, evasione fiscale, violazione sui finanziamenti elettorali e bonifici a una serie di cocotte - sono reati commessi in nome e per conto di Trump.
Partito per scovare il Russiagate, Mueller sembra aver scovato la Trump connection. Il Procuratore Speciale, cercando le prove di collusione coi russi, ha finito per trovare le collusioni con uomini d’affari – in realtà aggregati criminali oligarchici – coi quali l’imprenditore Trump ha fatto deliberatamente business nel corso dei decenni. A fare da raccordo, sempre e solo lui: Cohen.
L’agio di delegare a un solo uomo di assoluta fiducia ed evidenti capacità (qui la deontologia non conta) comportava tuttavia un grande rischio. Quello di farne un bersaglio. Una volta individuato, per Mueller è stato sin troppo facile metterlo nel mirino per colpire, con un solo colpo, due obiettivi.
Trump è spregiudicato, non c’è dubbio. È anche ingenuo? Meno di quanto non voglia far credere; restando in atmosfere russe, il gioco di matrioske è sempre in agguato e per un Cohen che compare sulla scena non sappiamo quanti altri si celino nel vasto regno dell’impero di trumplandia.
Trump aveva avvisato Mueller di non ficcare il naso nei suoi affari personali. Tra minaccia e invito, a volte, lo scarto è sottile. Il Procuratore ha certamente varcato la linea rossa ma Trump è un egocentrico, non un orgoglioso. Potrebbe quindi sacrificare (dead man walking, si diceva) il talentuoso Cohen e tracciare una nuova linea rossa, solo un po’ più in là.