Il vero avversario dei Donald Trump è Taylor Swift

Taylor Swift è oggi un’icona americana non meno di McDonald’s e Walt Disney. La stella della musica – appena passata alla storia per essere la prima cantante a vincere per la quarta volta il «miglior album» ai Grammy 2024 (gli Oscar della musica) – non è solo la donna dei record, ma è anche tra le artiste più influenti del panorama musicale contemporaneo. Americano e mondiale. Con i suoi oltre 114 milioni di dischi venduti e 280 milioni di follower su Instagram, è l’artista più ascoltata praticamente di sempre, e può tranquillamente contendere ai Beatles e a Elvis lo scettro di icona pop.

Per questo motivo, l’Amministrazione Biden le ha messo «gli occhi addosso», nella speranza che la star possa risollevare l’incerto destino delle presidenziali democratiche, dove il presidente in carica è ancora indietro nei sondaggi rispetto al rullo compressore Trump. L’idea della Casa Bianca è quella di avvicinare al voto democratico i milioni di giovani che rappresentano un fenomeno generazionale e, in particolare, la base di fedelissimi di Swift, che farebbero qualsiasi cosa per lei, anche andare a votare.

Il che, in un Paese dove circa il 50% della popolazione solitamente non si reca alle urne (e questa percentuale sale ancor più tra gli under 35), sarebbe anche una strategia ragionevole. Se non fosse che puntare su una celebrity, per quanto famosa, per vincere un’elezione politica sa tanto di «mossa della disperazione».

Vero è che in tempi di social, di influencer e di iper-comunicazione, gli indecisi possono anche essere convinti da una pop star. Secondo Usa Today, ad oggi il 39% degli elettori ispanici e il 37% dei giovani sotto i 35 anni ha una netta preferenza per Donald Trump, rispettivamente cinque e quattro punti in più del presidente Biden. Un dato che ha provocato un allarme rosso tra gli elettori dell’Asinello. Che, di conseguenza, studiano ogni possibile mossa per recuperare terreno.

Ma quanto vale affidarsi a questo ragionamento? Non poco, in effetti, considerato che se il numero di elettori indecisi e di sostenitori di partiti minori che nelle ultime settimane prima del voto non sapevano chi votare erano il 3% nel 2012, questa cifra nell’ultimo decennio si è triplicata: al punto che oggi «gli indecisi sono 1 su 8 a livello nazionale, un numero insolitamente alto poco prima delle elezioni», come ha sottolineato anche Nate Silver, lo statistico e giornalista più famoso d’America (dopo che ha azzeccato quasi ogni previsione da tre elezioni a questa parte).

Certo, ogni volta che Taylor Swift appare a in televisione, in radio o assiste a una partita (è fidanzata con il giocatore di football dei Kansas City Chiefs, Travis Kelce) gli ascolti s’impennano vertiginosamente e i biglietti finiscono sold out in poche ore, anche quando questi stessi biglietti per i Kansas sono aumentati del 40%.

Insomma, l’effetto Swift garantisce il sold out. Al punto che, secondo alcuni studi, un solo tour di concerti della ragazza prodigio contribuisce ad alzare persino il Pil nazionale: lo scorso anno, con 53 esibizioni, la Swift avrebbe prodotto qualcosa come 4,3 miliardi aggiuntivi di Pil.

Forse per questo, il New York Times per primo – ormai avanguardia delle istanze democratiche, dopo aver perso qualsiasi equidistanza come invece gli richiederebbe il codice deontologico del giornalismo – ha ipotizzato il sostegno elettorale di Taylor Swift alla causa democratica, per aumentare la popolarità di chi ne è invece in pieno deficit: Joe Biden.

Come a dire che, con lei al suo fianco, l’ottuagenario presidente godrebbe inevitabilmente della luce riflessa della reginetta del pop, la quale più volte si sarebbe espressa in favore del partito democratico. E, considerato che la sua influenza attecchisce trasversalmente nell’elettorato sia maschile che femminile (in questo secondo caso, però, in maniera assai più accentuata), alla Casa Bianca sono tutti convinti che un suo endorsement valga già adesso almeno 8 punti percentuali. Un’enormità, insomma, che consentirebbe a Biden di gestire con più serenità la corsa alla rielezione.

La speranza democratica di potersi servire di una testimonial d’eccezione come Taylor Swift nasce nel 2018 quando la cantante country pop espresse indirettamente le sue simpatie politiche, criticando una candidata del Tennesse (da cui lei stessa proviene) sostenuta da Donald Trump: «Ha votato contro paghe eque per le donne, si è opposta alla legge contro la violenza sulle donne che in fondo ci difende dagli abusi domestici e dallo stalking!», affermò la cantante in Miss Americana, un documentario biografico a lei dedicato prodotto da Netflix.

Mentre nelle elezioni del 2020 ha appoggiato più esplicitamente Joe Biden, mostrando su Instagram dei biscotti home made con il logo della campagna presidenziale dei democratici e promettendo al presidente Donald Trump via Twitter: «Ti voteremo fuori».

Oggi, la cantante 34enne è sempre meno distante dalla politica, fa dichiarazioni più audaci ed è stata appena incoronata «persona dell’anno 2023» da Time, il più iconico e influente magazine al mondo. Anche il 2024 è iniziato con i media che si schierano (o si prostrano) ai suoi piedi. Fatto sta che la ragazza d’oro viene tirata per la giacca da ormai troppo tempo. Ma tutto questo può davvero valere una presidenza?

È ciò che si domandano i repubblicani, che intanto, non sapendo che pesci (e artisti) prendere, propagano teorie complottiste. Come quella del commentatore conservatore Jesse Watters, che Fox News ha dichiarato che «quattro anni fa, durante una riunione della NATO, l’unità per le Operazioni psicologiche del Pentagono ha suggerito Taylor Swift come un’arma». Siamo alla follia. O al ridicolo, scelga il lettore.

Alcuni autorevoli esponenti della destra hanno iniziato anche a diffondere una teoria cospirativa secondo la quale la Swift sarebbe direttamente una «risorsa del Pentagono» creata ad arte, insieme a non meglio precisate forze di sinistra, esplicitamente al fine di influenzare le elezioni presidenziali.

Ma quanto durerà il golden touch delle reginetta del pop? Di certo fino a domenica prossima, quando al Superbowl – l’evento sportivo più seguito al mondo – ad affrontarsi saranno proprio i Kansas City Chiefs del fidanzato di Taylor Swift (già campioni in carica e alla terza finale in quattro anni) e i San Francisco 49ers, in quel di Las Vegas, dove peraltro fa bella mostra di sé una scintillante Trump Tower completamente dorata. Se dovesse vincere Kansas, molti scommettono che Swift sfrutterà l’occasione per dare il suo personale endorsement per Biden. O almeno, è quello che gli avrebbero chiesto dalla Casa Bianca.

Al momento, però, non è neanche dato sapere se Taylor Swift sarà presente sugli spalti, perché attualmente in tour in Giappone. Sulla questione è intervenuta persino l’ambasciata giapponese negli Stati Uniti: «Se lei partisse da Tokyo la sera dopo il concerto, potrebbe arrivare con comodità a Las Vegas prima dell’inizio del Super Bowl» è scritto nel comunicato ufficiale. Ma che senso ha tutto questo?

Forse a noi europei la questione sembrerà grottesca, assurda, inopportuna. Invece, in America il possibile «effetto Swift» nelle presidenziali viene preso fin troppo sul serio. E certifica il fatto che la politica americana è caduta talmente in basso che a risollevarla non potranno essere che forze esterne alla politica. Il che ci dice anche che, Trump o Biden che sia, gli Stati Uniti d’America steccano metaforicamente, tanto per rimanere in tema. E non inviano un buon segnale all’estero, dove dal «faro» dell’Occidente e della democrazia ci si aspetterebbe che la politica fosse trattata in maniera più seria. Invece, i democratici di Biden appaiono così disperati che sdarebbero capaci persino di nominare Taylor Swift vicepresidente. Del resto, dopo l’attore Ronald Reagan e il ricco immobiliarista Donald Trump alla Casa Bianca, una giovane pop star non stonerebbe neanche troppo. Questa è l’America!

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