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October 23 2015
Una moglie in cambio di un voto. A una settimana dalle elezioni politiche in Turchia, il partito islamico (AKP) del presidente-sultano Erdogan si gioca il tutto e per tutto pur di risalire la china dei sondaggi che lo danno in affanno. Il premier Ahmet Davutoğlu, già ministro degli Esteri e fedelissimo di Erdogan, ha annunciato la sua intenzione di creare una sorta di agenzia matrimoniale in seno al partito, con il fine di trovare una sposa per tutti i single che bramano di convolare a nozze. In cambio Davutoğlu chiede un voto per il suo partito, affinché abbia la maggioranza necessaria a formare un governo il 2 novembre prossimo.
"Avete un lavoro, uno stipendio e del cibo. Cosa vi manca? Una sposa. Ecco, l'AKP vuole che la gente di questa terra si riproduca. Quando hai bisogno di una moglie lo dici ai tuoi genitori. Loro si impegneranno per trovarti una sposa degna. Ma se non ci riescono, allora vieni da noi...noi ti faremo avere un lavoro, una casa e una moglie". Queste parole anacronistiche e profondamente maschiliste sembrano saltate fuori da qualche archivio dell'inizio del secolo scorso. Invece, sono state pronunciate qualche giorno fa con il crisma dell'ufficialità e danno il polso del volto della Turchia di Erdogan e dei suoi, lontana anni luce dal Paese "europeo" e all'avanguardia che eravamo abituati a conoscere solo 13 anni fa.
Ma fosse solo per l'agenzia matrimoniale governativa, ci sarebbe da ridere. Purtroppo, la campagna elettorale del presidente-sultano Erdogan dietro al miraggio del matrimonio per tutti nasconde il pugno di ferro per coloro che osano criticare l'AKP. Giornalisti, accademici, attivisti e oppositori politici. Per loro la campagna elettorale è una via crucis fatta di condanne, bavagli e arresti senza fondamento. E questo significa solo una cosa: Erdogan teme di non farcela nemmeno il 1 novembre, a quattro mesi dal sonoro schiaffone elettorale che per la prima volta in tredici anni gli ha negato la maggioranza parlamentare, impendendogli di formare un governo monocolore.
Come se non bastasse, i risultati elettorali di giugno hanno inflitto al presidente turco anche un'altra sconfitta: per la prima volta è entrato in Parlamento il partito pro-curdo HDP, guidato dal giovane e carismatico Selahattin Demirtaş. E a giudicare dai sondaggi e dall'impegno degli attivisti l'HDP potrebbe aumentare in modo consistente il suo consenso anche a questa tornata elettorale. Lo strazio del massacro di Ankara, la reazione tiepida di Erdogan, che si è presentato sul luogo della strage dove sono morte più di 100 persone solo tre giorni dopo, il sospetto che ancora una volta la vita della Repubblica turca sia scandita da trame oscure e gestita dai servizi segreti, tutto questo fa tremare il presidente.
E in questo ultimo scorcio di campagna elettorale, il clima si fa sempre più avvelenato quando il dipartimento nazionale della Polizia lancia l'allarme su possibili attentati ai leader del partito pro curdo HDP e consiglia ai governatori delle varie province di vigilare con attenzione per proteggere gli attivisti e i sostenitori di Demirtas.
Veleni che non vengono certo mitigati dalla censura e dagli arresti che si abbattono su tutti coloro che "osano" schierarsi contro il presidente-sultano. Una delegazione mondiale di attivisti per la libertà di stampa ha recentemente lanciato l'allarme sulla condizione dei media in Turchia, esprimendo solidarietà ai giornalisti turchi e chiedendo la fine immediata delle aggressioni e delle minacce da parte del governo turco, sottolineando che questa è una profonda ferita per la democrazia del Paese della Mezzaluna.
Dalle elezioni di giugno in poi, Erdogan ha scelto la strada dell'escalation violenta per zittire i suoi oppositori, usando mezzi del tutto anti-democratici. Uno degli strumenti chiave della censura in Turchia si basa sull'attuale legislazione che criminalizza la diffamazione. Una legge di cui Erdogan abusa, senza fermarsi nemmeno davanti ai bambini. Qualche giorno fa un 14enne è stato arrestato dalla polizia perché si trovava in un bar con degli amici e ha insultato il presidente. Il ragazzino è stato ammanettato e portato in galera, dove ha passato qualche ora. Rilasciato in base alla legge per la protezione dei minori ha poi raccontato di aver solo espresso ai suoi amici cosa pensa di Erdogan, e questo ha immediatamente fatto scattare le forze dell'ordine come se fosse un pericoloso criminale.
Insomma, criticare Erdogan è considerato un crimine e come tale viene punito. Scrivere di lui senza incensarlo, ma sottolineando invece la sua attitudine palesemente autoritaria viene considerato un reato. La Turchia di Erdogan è lontana anni luce da quella di Ataturk ed è lontana anni luce dall'essere una moderna democrazia. Se il sultano dovesse vincere le elezioni del 1 novembre, il Paese scivolerebbe ancora di più lungo la china di una dittatura mascherata. Ma anche se non le dovesse vincere, in molti temono la sua reazione scomposta e feroce. Tutte le volte che Erdogan è stato ferito ha scelto di rispondere con la violenza e con il pugno di ferro. E questo la Turchia e i turchi di certo non lo meritano.