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November 21 2016
Vladimir Putin ha confermato la sua intenzione di voler ridisegnare i rapporti tra Stati Uniti e Russia dopo l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca: «Il nuovo presidente ha confermato la sua intenzione di normalizzare le relazioni tra i nostri due Paesi. Da parte mia ho fatto lo stesso» ha dichiarato il numero uno del Cremlino, che ha ammesso anche che «è stato difficile lavorare insieme con Barack Obama. Ma ci siamo sempre rispettati e abbiamo rispettate le posizioni uno dell'altro».
A prescindere dai facili entusiasmi, la domanda che si pongono gli addetti ai lavori dei think tank occidentali riguarda le ricadute geostrategiche che un accordo russo-americano potrebbe produrre in Europa, e nella fattispecie nell'area orientale al confine con la Russia, e in Medioriente, e in particolare in Siria, dove operano attualmente sul terreno almeno una ventina di milizie sunnite accreditate dalla Cia, finanziate dai Paesi del Golfo, e nemiche giurate del «filo-sciita» e «filorusso» Bashar Al Assad. Una svolta a U rispetto alla tradizionale politica estera americana in Medioriente, incentrata attorno all'alleanza con i Paesi sunniti del Golfo e con Israele, solleva insomma tutta una serie di domande, non meno dense di quelle che solleva un eventuale ritiro della Nato dai Paesi baltici al confine con la Russia.
Se Bashar al Assad tende la mano a Donald Trump
LE INCONGNITE IN SIRIA
Un accordo russo-americano sulla Siria (che metta al primo la necessità congiunta di combattere le truppe del Daesh) prevede una subordinata: la permanenza al potere dell'alawita Bashar Al Assad e la conseguente espansione dell'area di influenza iraniana nel Paese. Sul terreno ci sono già oggi alcune milizie sciite provenienti dall'Iraq, dall'Iran e dal Libano, accorse per aiutare militarmente - insieme alla Russia - l'esercito siriano.
Come reagirebbero i Paesi sunniti del Golfo persico a un eventuale espansione iraniana nell'area? E come reagirebbero le milizie sunnite siriane finora alleate degli americani e finanziate dai Paesi sunniti? Il timore degli analisti occidentali è proprio questo: che, per scongiuare il rischio dell'espansionismo sciita-iraniano, i Paesi del Golfo possano riversare sulla Siria centinaia di migliaia di petrodollari per finanziare le formazioni guerrigliere sunnite (alcune delle quali fondamentaliste) già presenti nel Paese e in guerra con Assad. Con conseguenze imprevedibili, e allontanando comunque l'obiettivo della pace, e trasformando la Siria, come ora, e più di ora, in un manzoniano vaso di coccio tra vasi di ferro (le potenze regionali e mondiali).
Ci sono poi altre due domande che solleva un eventuale accordo russo americano nell'area.
Domande che la contraddittorietà della linea di Donald Trump in Medioriente (filorussa e insieme filoisraeliana) non consente di chiarire.
1) Israele è storicamente alleato, per ragioni strategiche, con l'Arabia Saudita. Il più grosso timore della politica estera di Tel Aviv è che possa rinascere, a seguito dell'accordo Trump-Putin, una Siria filo-iraniana ai propri confini. È vero che Trump ha ribadito il legame di acciaio tra Stati Uniti e Israele, e che è giunto addirittura a promettere in segno di cortesia di spostare l'ambasciata americana a Gerusalemme (la capitale israele non riconoscita dall'Onu, ndr) ma difficilmente (come i Paesi del Golfo) Israele rimarrà con le mani in mano di un fronte a una ipotetica riconquista di tutto il territorio siriano da parte delle truppe di Assad. Come intende risolvere questa contraddizione Donald Trump?
2) In Arabia Saudita c'è la più grande base militare americana di tutta l'area. I petrodollari derivanti dallo sfruttamento dei pozzi hanno consentito negli ultimi anni agli uomini d'affari sauditi, per di più vicini alla dinastia regnante, di acquistare pezzi delle economie occidentali ed europee, entrando nei board delle grandi multinazionali e persino comprando squadre di football di livello planetario. Quali ricadute per le traballanti economie occidentali ci sarebbero (tenendo anche conto dei contratti miliardari per lo sfruttamento dei giacimenti siglati dalle aziende petrolifere europee e americane) di fronte a un'eventuale frattura tra i Paesi sunniti del Golfo e i nuovi Stati Uniti di Trump? Si aggiunga a questo che l'alleanza tra i Paesi del Golfo e gli Stati Uniti è uno degli elementi fondanti su cui si sono formati tutti i funzionari diplomatici americani presenti in loco. Un'eventuale favore all'Iran sulla Siria, sull'altare dell'accordo Trump-Putin, non rischia di produrre frizioni insanabili anche tra la Casa Bianca e gli uomini dell'amministrazione e del Pentagono? Come risolvere la questione? Con uno spoil system del personale americano presente in Medioriente? Se sì, con quali conseguenze?
LE INCONGNITE IN UCRAINA
Più semplice - ma non meno gravida di incertezze - appare la situazione nell'area orientale dell'Europa. Trump ha una linea più isolazionista, intende ridurre l'impegno finanziario americano a sostegno dell'Alleanza atlantica, potrebbe ritirare buona parte delle truppe Nato schierati nei Paesi baltici, in Ucraina, nei Paesi europei al confine con la Russia. Anche la Polonia, come i Paesi baltici, teme un disimpegno americano che potrebbe scatutire in Europa da un eventuale accordo Putin-Trump in Ucraina e al confine con la Russia.
Come ne uscirebbe l'Unione europea? Se Trump intende dare seguito alla sua linea isolazionista, riducendo il perimetro della capacità di intervento della Nato in Europa, ci potrebbero essere contraccolpi geostrategici anche nel vecchio continente, con una diaspora dei Paesi esteuropei verso la Russia? Come reagirebbero i Paesi Ue che temono l'espansionismo russo? Con un ritorno al nazionalismo armato nel cuore dell'Europa?