Economia
April 18 2016
l modo migliore per distrarre gli italiani dalla notizia dello scoppio della Terza guerra mondiale è annunciare la riforma delle pensioni. Matteo Renzi lo sa benissimo e d'altra parte occasioni per distrarre gli italiani ne ha avute a dozzine: dal mancato raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica all'aumento delle tasse, dal caos delle primarie del Pd alla gestione dell'emergenza migranti, dall'opposizione della sinistra Pd alla sua leadership fino agli scontri con l'Europa.
Ogni volta che all'orizzonte si staglia un problema: voilà! Spunta da qualche parte una proposta per "riformare le pensioni" e subito si parla di questo. Occhio alle date: il due aprile i giornali danno la notizia delle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. Passano 48 ore e Renzi annuncia dal palco di Facebook che il governo vuole aumentare le pensioni minime di 80 euro.
Da non credere: fino al giorno prima si diceva che le pensioni erano da tagliare e ora Renzi annuncia un aumento. E infatti è una balla o, meglio, come direbbe l'immortale Conte Mascetti di Amici miei, una "supercazzola". Passano infatti altre 48 ore e, il 6 aprile, Tommaso Nannicini, sottosegretario a Palazzo Chigi spiega che "non c'è un'istruttoria sugli 80 euro, il tema è da approfondire, ma non è una priorità, interverremo da qui alla fine della legislatura, nel 2018". Toh... quando sono previste le elezioni. Dev'essere una coincidenza.
Il più prolifico produttore di proposte pensionistiche è senza dubbio il presidente dell'Inps, Tito Boeri che ha inaugurato il 2016 con la seguente idea: "Chiedere (alla Ue, ndr) flessibilità per finanziare nell'immediato una maggiore uscita flessibile". Quella di permettere agli italiani di andare in pensione quando vogliono (con penalizzazioni) è una gag che vanta tante imitazioni quante quelle dello sketch del sarchiapone di Walter Chari. L'idea è buona, certo... tranne per il fatto che se l'Europa concedesse all'Italia di fare più deficit, questo verrebbe usato per evitare l'aumento dell'Iva. La proposta è eccellente, certo... tranne per il fatto che risale addirittura al giugno 2015 e che è già stata bocciata dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti il 5 novembre scorso con la seguente inequivoca motivazione: "Servono risorse che, al momento, non ci sono".
Ma... un momento: come mai se Poletti il 5 novembre 2015 dice che le risorse non ci sono, il primo febbraio 2016 propone un reddito minimo per tutti da 320 euro al mese? Mah, dev'essere un nuovo sketch ancora da perfezionare. Nel repertorio di Boeri c'è un'altra gag mitica: il "contributo di solidarietà" per le pensioni più alte (3.500 euro lordi).
L'ultima volta che l'ha riproposto è stato il 3 aprile di quest'anno: "Credo che sarebbe opportuno andare per importi elevati a chiedere un contributo di solidarietà per i più giovani" ha detto. Stavolta non servono 48 ore per svelare il bluff. Poletti, ricordando il blocco delle rivalutazioni delle pensioni cosiddette d'oro, gli urla dal fondo sala una cosa molto simile a "Facce' Tarzan!" ricordandogli che "il contributo di solidarietà c'è già".
Ma il presidente dell'Inps non demorde e rispolvera il celeberrimo ricalcolo delle pensioni. Non di tutte, "solo" delle 326.560 superiori ai soliti 3.500 euro riconteggiando l'importo con il sistema contributivo (prendi solo ciò che hai versato) al posto del sistema retributivo (prendi in base allo stipendio degli ultimi anni si lavoro). Buona idea anche questa, anche se l'istituto risparmierebbe appena 956 milioni su un deficit 2015 di oltre 12 miliardi ma, come si dice, è il pensiero che conta.
Il problema è che ricalcolare 326.560 pensioni è semplicemente impossibile, soprattutto quelle dei pensionati pubblici perché lo Stato, fino al 1996 non ha mai versato i contributi all'Inps per i propri dipendenti. E anche se lo sanno tutti da almeno cinque legislature che è impossibile, la barzelletta del ricalcolo delle pensioni è talmente divertente che si trova sempre un Boeri che non resiste alla tentazione di raccontarla.
Insomma: sulle pensioni da anni va in scena uno spettacolo degno di La sai l'ultima? Recentemente è salito sul palco la giovane promessa Nannicini, non solo sottosegretario alla presidenza del Consiglio ma anche capo della pattuglia di economisti che lì svernano. Per il suo sketch ha trovato una spalla in Enrico Morando, viceministro dell'Economia, quello che nel 2014 propose una tassa sulle pensioni più alte senza sapere che è incostituzionale. Nell'estate del 2015 Nannicini lancia la battuta: perché non riduciamo di tre punti i contributi previdenziali a carico del datore di lavoro e di altri tre a carico dei lavoratori?
È vero, i giovani poveri di oggi saranno i pensionati poveri di domani, ma vuoi mettere il boom dei consumi a ridosso delle elezioni? Morando ci pensa un po' su e il 28 febbraio 2016 rilancia: piuttosto tagliamo l'Irpef già nel 2017, "non escluderei che sia possibile". Passano 24 ore e Nannicini risponde secco: "Non ci sono i soldi". Morando, colpito nell'onore, mogio mogio, esce di scena senza replicare. E Nannicini, per strappare la risata finale, spiega al pubblico in sala che anche la sua proposta, quella che proprio lui aveva tirato fuori non è attuabile, perché "dobbiamo capire come far costare meno il tempo indeterminato, in termini di contributi, senza incidere negativamente sulle aspettative pensionistiche dei lavoratori". Risata scrosciante e richieste di bis si sprecano per il duo Ezio Greggio-Nannicini e Gianfranco D'Angelo-Morando (del quale peraltro è il sosia).
Ma l'apoteosi della supercazzola pensionistica è del 28 gennaio 2016. Il consiglio dei ministri approva un ddl che aveva lo scopo di "combattere la povertà" all'interno del quale era prevista la "razionalizzazione" delle prestazioni pensionistiche. Nemmeno la Pravda, annunciando che i leader erano raffreddati mentre invece erano morti, sarebbe riuscita a modificare la verità così platealmente. Perché in questo caso la parola "razionalizzazione" significa "taglio" delle pensioni di reversibilità.
Siccome nessuno vuole prendersi la paternità del ddl, parte la corsa a smentirlo per primo. Vince la gara il solito Poletti (ministro del Lavoro), secondo Filippo Taddei (responsabile economico del Pd) e terzo Pier Carlo Padoan (ministro dell'Economia), tutti a dire che la stampa non ha capito, che non cambia niente, che non è successo nulla. Perfino Matteo Renzi smentisce. Per ultimo, ma smentisce: "È la classica notizia che si autoalimenta" disse. Era il 23 febbraio. Arriva l'8 aprile ed eccallà! Il Def licenziato da Palazzo Chigi prevede il taglio alle pensioni di reversibilità: quello stesso taglio smentito esattamente 45 giorni prima. Così il ministro Poletti interviene per dire che si tratta di un errore tecnico. E ribadisce che "come ho già detto in Parlamento, c'è l'impegno del governo a correggere il testo della delega legislativa sulla povertà per chiare fuori da ogni equivoco che le pensioni di reversibilità non saranno toccate". La comica continua.