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April 16 2018
Ilcasus belli, come in tante situazioni omologhe, è stato unarivolta popolare, poi degenerata. Quanto sia stata reale o quanto creataad hoc da qualche forza esterna motivata da interessi economico-territoriali probabilmente non lo sapremo mai. Fatto sta che, asette anni dal suo inizio, il conflitto ha conosciutovarie fasie la sua intensità, ancora oggi, non accenna a diminuire.
-7: gli anni del conflitto, ad oggi
- 14,9milionisono le persone bisognose di assistenza umanitaria
- 13,1milionile persone che, nel corso di quest'anno, richiederanno una qualche forma di aiuto umanitario
-6,3milionigli sfollati (di cui 2,8 milioni di minori)
-5milionie oltre di rifugiati siriani nei Paesi limitrofi
- 353.900le vittime totali (marzo 2018)
-106.000le vittime civili
-100.000le morti non documentate
-56.900le persone disperse
-1,5 milionile persone con disabilità permanenti
-86.000le persone che hanno perso gli arti
-492gli attacchi contro 330 strutture mediche
-847le vittime tra il personale medico
- 100, almeno, i missili lanciati su Damasco e Homs dagli Stati Uniti e i suoi alleato
Disoccupazione, corruzione, limitazioni della libertàerano ben presenti e diffuse in tutto il Paese ben prima che il conflitto avesse inizio. La condizione era assimilabile al malcontento di molti altri Paesi accomunati dalle insegne dellaPrimavera Arabaagli inizi di questo decennio.
Nelmarzo del 2011, nella parte meridionale del Paese esplosero i primi episodi di piazza, con gli scontri tra i manifestati che chiedevano più democrazia e migliori condizioni di vita e le milizie governative inviate dal presidente Bashar al-Assad, succeduto al padre Hafez nel 2000.
L'uso della forza per reprimere la rivolta fece estendere le proteste in tutto il Paese che poi culminarono con la richiesta di dimissioni del Presidente. Nel frattempo, i sostenitori dell'opposizione cominciarono a organizzarsi dando vita a un vero e proprio esercito di ribelli.
Da qui alla guerra civile il passo è stato breve.
Nel giro di breve, da "locale", la guerriglia si è estesa fino ad assumere, al suo interno, anche i caratteri delconflitto di religione, con la maggioranza musulmanasunnitaopposta alla setta alawita vicina al presidente Bashar al-Assad.
Tale contesto ha rappresentato un terreno fertile perl'entrata in campo dei gruppi jihadisti, sia quelli delloStato Islamicoche di al-Qaeda.
Sono gli anni in cui il terrorismo guidato dalle due organizzazioni cresce e prospera in tutto il mondo, aggiungendo una variabile che spinge diversi Paesi, dell'area e del resto del mondo, a partecipare - a vario titolo - nel conflitto.
Russia
Interessato a coltivare una presenza indiretta nell'area (dove possiede diverse basi militari) mediante un patto di alleanza con il governo siriano, Putin ha lanciato un'escalation al suo sostegno ad Assad nel 2015, con una campagna aerea che si è rivelata cruciale nel trasformare le sorti della guerra a favore del governo.
Ufficialmente, l'impegno del Paese è stato fin da principio rivolto esclusivamente alle forze "guidate dai terroristi", ma in realtà diverse organizzazioni umanitarie sostengono che gli attacchi hanno avuto come obiettivo anche i ribelli e i civili.
La presenza bellica della Russia nell'area ha subito un'interruzione nel dicembre dello scorso anno, in occasione dell'ordine di ritiro delle forze russe dal territorio siriano. "La guerra in Siria è finita", dichiarò Putin nella circostanza.
Per la stragrande maggioranza degli esperti di geopolitica, finora la Russia è il Paese che ha ottenuto i maggior vantaggi da un conflitto, che le ha concesso di potersi muovere da superpotenza in una regione così strategica sotto molti punti di vista, ma anche molto incerta per quanto riguarda i suoi futuri assetti e la cui evoluzione dipende in larga parte da come il leader russo riuscirà ad arginare l'asse Washington-Riad-Tel Aviv, che oggi ha ripreso sostanza.
Stati Uniti
Insieme a una coalizione che ha coinvolto anche diversi Paesi occidentali - Regno Unito e Francia in testa - gli Usa, nel tempo, hanno garantito vari gradi di supporto alle forze ribelli avverse al regime di Assad che, proprio nei giorni precedenti al momento in cui scriviamo, ha definito "un animale" per aver lanciato l’ennesimo attacco chimico contro la popolazione civile, ordinando poi l'invio di un cacciatorpediniere al largo delle coste siriane e minacciando un attacco militare al regime di Damasco.
Per molti analisti, l'interesse di Trump ad avere un ruolo nell'area non è tanto legato alla situazione politica siriana in sé o alla necessità di arginare il terrorismo quanto piuttosto a sottolineare la presenza simbolica degli Stati Uniti in risposta alle mire espansionistiche di Putin, con il quale i rapporti sono ultimamente sempre più tesi.
Iran e Arabia Saudita
Fin dai primi momenti della terza fase conflittuale, l'Iran ha speso miliardi di dollari e schierato migliaia di miliziani sciiti per aiutare l'offensiva governativa. Tale condizione ha avuto una svolta nel 2015 quando l'attenuazione dell'embargo conseguente all'accordo sul nucleare ha consentito a Teheran di aumentare ulteriormente il suo impegno.
Al centro della strategia di intervento iraniano c'è principalmente l'intento di affermare la propria influenza (sciita) in chiave anti Arabia Saudita (acerrima nemica degli ayatollah sciiti) che invece da tempo finanzia in modo più o meno esplicito le forze sunnite. In ballo ci sono principalmente enormi interessi economico-finanziari legati allo sfruttamento delle risorse naturali della zona.
La Turchia e il popolo curdo
Del tutto peculiare il suo caso: il Paese che fa da cerniera tra l'Europa e il Medio Oriente è in Siria con lo scopo principale di riuscire a debellare definitivamente il movimento indipendentista curdo, storicamente presente sul territorio siriano. Il suo timore, da sempre, è che la creazione di uno Stato curdo possa rappresentare un pericolo per la sua stabilità nazionale.
Va considerata, poi, anche tutta la serie di interessi economici legati allo scenario energetico in un'area in cui la Turchia ha una posizione di primo piano per il transito di gas e combustibili destinati all'Europa.
Senza contare, infine, che il 20% della popolazione turca è di fede alevita e, al suo interno, c’è una componente araba che appartiene alla stessa confessione del presidente Bashar Al Assad e di una buona parte dei quadri dirigenti del regime siriano.
L'avanzata delle truppe di Erdogan ha raggiunto il culmine ai primi di quest'anno con l'operazione Ramoscello d'Ulivo, contro l'enclave curda di Afrin nel nordovest siriano, conquistata dopo due mesi di offensiva. Nell'intento del leader turco c'è il prosieguo dell'avanzata verso Tal Rifat e poi verso Manbij.
Israele
Quella voluta in Siria dal primo ministro Natanyahu è una guerra nella guerra, indirizzata soprattutto verso Hezbollah, il gruppo sciita libanese nato proprio in funzione anti-israeliana ma da tempo molto attivo in Siria a sostegno del regime di Bashar al-Assad, appoggiato - peraltro - anche da altri suoi "nemici", cioè l'Iran e le milizie sciiti vicine a quest'ultimo.
Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno attaccato la Siria con un'operazione mirata a colpire alcuni obiettivi, tra le città di Damasco e di Homs. Immediata la replica di Mosca, che ha subito avvertito che l'azione degli Usa e dei suoi alleati non resterà senza conseguenze.
Ancora una volta, a subire gli effetti di questo braccio di ferro tra le superpotenze, saranno i civili.