Dal Mondo
March 14 2022
La Russkij Mir, un ordine mondiale a trazione russa che Putin immagina nell’allargare a dismisura la sua sfera d’influenza, potrebbe presto affermarsi o conoscere precipitosamente la fine dei suoi giorni. Di certo, dopo l’invasione dell’Ucraina, non è più possibile tornare indietro. Da qui si può solo andare avanti. Già, ma avanti dove? E poi, è davvero possibile per Mosca conquistare, ma soprattutto «tenere», l’Ucraina? E dunque si è stato davvero un’aggressione decisa contro ogni logica razionale, un azzardo geopolitico dove la vittoria ultima sarà effimera?
Militari e analisti si sono allenati in queste settimane di guerra nel valutare gli scenari possibili della fine del conflitto. Chi nello scenario russo-ucraino parla di mancato blitzkrieg di tedesca memoria, dimentica che «la guerra lampo» di Hitler nella Seconda guerra mondiale iniziò sì il primo settembre 1939, ma non si concluse prima del maggio 1940, quando cioè i generali nazisti passeggiavano al Trocadero di Parigi, dopo aver occupato la Francia.
Blitzkrieg non è dunque esattamente una «guerra lampo», piuttosto una manovra che punta a sfondare nel centro le linee nemiche nonostante la possibilità di perdere i collegamenti con le ali e le retrovie, per poi procedere all’accerchiamento in un secondo momento. Ma l’aspetto più interessante di questa manovra è il «costante stato di movimento delle unità attaccanti»: ovvero evitare l’inerzia e lo stallo. Che è proprio ciò che sta accadendo in Ucraina, dove le armate russe sono in moto perpetuo sin dal primo giorno. Ciò che i generali sanno di dover evitare, infatti, è una situazione di stallo. Certo, i costi della guerra ogni giorno che passa si fanno sempre più alti, ma questo è senz’altro stato messo in conto dal Cremlino. Ora, è evidente che giunti a questo punto Mosca non può perdere la guerra, ma rischia comunque di non vincere. Vediamo perché. Sono almeno cinque gli scenari possibili che si realizzeranno presto o tardi in Ucraina.
Il primo resta ancora la «guerra lampo»: in questo scenario, la Russia intensificherà le sue operazioni militari e il fuoco d’artiglieria, con bombardamenti e attacchi aerei incessanti su città chiave, colpendo indiscriminatamente infrastrutture, reti di energia e delle comunicazioni, ma anche palazzi civili e ospedali. Bombe che servono anche per fiaccare la popolazione e allontanarla dal sostenere il proprio governo. L’aviazione russa, sinora ben poco attiva, avrà in questo caso la parte preminente. La conseguenza di ciò sarà una carneficina di civili e una distruzione significativa del Paese, che porterà Kiev alla capitolazione, con conseguente insediamento di un governo provvisorio neutrale o amico di Mosca, funzionale alla sostituzione di Zelensky con un presidente fantoccio eterodiretto dal Cremlino. A quel punto, la guerra di Putin potrà cessare e l’Ucraina diventare una fotocopia della Bielorussia.
Perché si giunga a tale scenario, però, si devono verificare le seguenti condizioni: un dispiegamento di forze senza precedenti in Ucraina (almeno 800 mila secondo le stime) e la resa incondizionata del popolo ucraino. In questo scenario, non si può escludere che la popolazione continui a percepire il governo filo-russo come illegittimo e mediti una nuova insurrezione civile, come fu per Euromaidan nel 2013. Dunque, sarebbe una vittoria solo temporanea per Mosca.
Al momento, una guerra prolungata è lo scenario più probabile. Le forze russe non riescono a sfondare le linee, s’impantanano in un lungo assedio a Kiev e in una violenta guerriglia nelle città più popolose, con la guerra di resistenza che provoca frustrazione e senso di scoramento tra le truppe russe: la logistica non riesce a mantenere le linee di rifornimento, piegata da imboscate e attacchi a sorpresa, e la repressione del Cremlino si fa sempre brutale, sul modello della Cecenia. In questo caso, servirà un numero abnorme di truppe sul campo (riservisti compresi) e mezzi corazzati per tenere sotto il tacco l’intera Ucraina, mentre i Paesi europei e gli Stati Uniti continuano a rifornire di armi e mezzi la resistenza ucraina. Si profila qui un modello Afghanistan anni Ottanta, con le sanzioni economiche che impoveriscono progressivamente le casse dello Stato russo.
Alla fine, in questo scenario dopo anni di sforzi bellici Mosca dovrà abbandonare il Paese, avendo raggiunto come risultato il solo assicurarsi un monito di deterrenza nei confronti della Nato, ma la leadership del Cremlino avrà compromesso il rapporto con la popolazione e creato i presupposti per un regime change. In questo caso, Vladimir Putin potrebbe anche non vedere la fine del suo piano egemonico.
Putin potrebbe estendere il conflitto al di fuori dei confini dell’Ucraina? Qualche generale potrebbe suggerirgli di tentare questa carta per alleggerire il fronte principale ed estendere la minaccia all’Europa, portando i Paesi Ue al tavolo negoziale pur di non essere coinvolti. L’escalation potrebbe interessare Moldavia e Georgia, dove le forze armate russe potrebbero cogliere facili successi militari che rinfrancherebbero il morale delle truppe e al tempo stesso irrobustirebbero il potere putiniano. Entrambe non sono parte della Nato, e questo consentirebbe ai russi di entrare più agilmente.
Al tempo stesso, la minaccia potrebbe estendersi anche alla Lituania, che verrebbe attaccata per creare un corridoio terrestre per ricongiungere il territorio russo all’exclave di Kaliningrad (al confine tra Lituania e Polonia), con vantaggi strategici e psicologici di peso se l’operazione dovesse riuscire. Più rischioso e anche inutile uno scontro diretto con la Polonia, che oggi è il principale corridoio logistico per il rifornimento di armi ai soldati ucraini. Un attacco simile farebbe scattare l’articolo 5 dello statuto Nato, secondo cui «l’attacco a uno è un attacco a tutti», e conseguentemente impegnerebbe l’alleanza atlantica in una guerra globale.
I costi di questo scenario sarebbero enormi e, anche se Putin ingaggiasse riservisti, truppe mercenarie e straniere (come peraltro già ha iniziato a fare), in questa «guerra totale» si dovrebbe garantire come minimo l’intervento militare diretto della Bielorussia e di altri alleati, nonché il sostegno politico, economico e di forniture militari da parte della Cina. Quanto alle armi nucleari, il loro utilizzo è considerato altamente improbabile (anche se la dottrina russa consente il possibile uso di armi nucleari tattiche sul campo di battaglia).
Anche in questo caso, Vladimir Putin potrebbe non vedere la fine del suo piano egemonico, perché sostituito nel tempo (attraverso un golpe o un tribunale militare) da un leader moderato che accetterebbe di negoziare una pace.
Se la guerra prosegue senza che Mosca ottenga i risultati sperati, le sanzioni inizieranno a mordere davvero la popolazione, le manifestazioni di dissenso in patria si moltiplicheranno ed emergeranno malumori tra i vertici politico-militari, con l’Europa che taglierà le forniture di energia, magari seguita dalla Cina, che ha già iniziato a fare pressioni crescenti affinché Putin si affidi a una soluzione diplomatica. L’exit strategy, in questo caso, punterà a non umiliare Mosca né arrecarle troppo danno. Un accordo simile vedrebbe Kiev accettare la sovranità russa sulla Crimea e sul Donbass, nuove elezioni in Ucraina e il consenso di Kiev a non entrare mai nella Nato. In cambio, la Russia accetterebbe l’indipendenza del resto dell’Ucraina e le accorderebbe la possibilità di aderire all’Unione Europea. Nel frattempo, i caschi blu delle Nazioni Unite potrebbero schierarsi come forze di interposizione per il tempo necessario al rispetto dei patti.
Alla fine, (tranne che per le forze Onu) forse questo è proprio ciò che Vladimir Putin immaginava sin dall’inizio, e la violenza scatenata sinora è stata soltanto funzionale a sedersi al tavolo negoziale con il coltello dalla parte del manico. Il cinismo di questa strategia da scacchista lo vedrebbe ancora ben saldo al potere.
I cinque scenari sopra descritti non si escludono a vicenda, e alcuni potrebbero persino intersecarsi tra loro: perché si realizzino, tuttavia, servono molti più sforzi - bellici quanto diplomatici - di quanto non si sia visto sinora. E serve tempo. La realizzazione della Russkij Mir, ad esempio, forse è fuori tempo massimo. In ogni caso, la sensazione di essere di fronte all’anno zero di un cambiamento epocale - in ordine alla sicurezza, alle relazioni internazionali, alla geopolitica e alla geoeconomia - è ormai condivisa dalle leadership di tutto il mondo, Mosca compresa.