Dossier ucraino: sale la tensione tra Stati Uniti e Russia

Resta alta la tensione sul dossier ucraino. Il Dipartimento di Stato americano ritiene infatti che le esercitazioni militari congiunte tra Russia e Bielorussia previste per febbraio potrebbero costituire in realtà il preludio di un’invasione dell’Ucraina (anche) da Nord. Tra l’altro, secondo il sito Axios, tale dispiegamento di truppe rappresenterebbe una minaccia anche per Lituania e Polonia: due Paesi che aderiscono alla Nato e che fanno parte dell’Unione europea. Non è del resto un mistero che i colloqui russo-americani, tenutisi lo scorso 10 gennaio, non abbiano prodotto alcun risultato significativo, mentre Washington si dice sempre più convinta che Mosca potrebbe avviare un’invasione “in qualsiasi momento”.

In questo quadro complicato, il segretario di Stato americano, Tony Blinken, si è recato in Ucraina mercoledì, per incontrarne il presidente Volodymyr Zelensky e il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba: nell’occasione, il Dipartimento di Stato americano ha annunciato ulteriori 200 milioni di dollari in aiuti militari a Kiev. Una mossa, questa, che ha suscitato l’irritazione dell’ambasciata russa a Washington. Nel frattempo, si registra attesa per un incontro che si terrà tra lo stesso Blinken e il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, venerdì prossimo. La diplomazia, insomma, continua a lavorare, per quanto da più parti si tema che la situazione possa sfuggire irrimediabilmente di mano.

In tutto ciò, appena pochi giorni fa, l’Ucraina è rimasta vittima di un cyberattacco, che ha preso di mira circa settanta siti web governativi: una situazione di cui Kiev ha incolpato il Cremlino. L’attacco è stato inoltre condannato dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e dall’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell. “Mobiliteremo tutte le nostre risorse per aiutare l'Ucraina ad affrontare questo problema. Purtroppo, sapevamo che sarebbe potuto succedere”, ha dichiarato quest’ultimo. “Mentre alcuni responsabili dei siti web colpiti sostengono che i dati siano stati divulgati al pubblico, il governo ucraino nega questa possibilità e al momento non risulta che nessuna informazione sia stata ancora pubblicamente divulgata. Dovremo quindi aspettare per capire se vi saranno ulteriori conseguenze negative oltre ai danni in termini di defacement dei siti stessi”, ha dichiarato dal canto suo Toby Lewis, Global Head of Threat Analysis di Darktrace.

Vladimir Putin sta insomma alzando il tiro, approfittando di alcuni fattori: l’onda lunga del disastro afghano e l’irresolutezza di Joe Biden. Dall’altra parte, il presidente russo non può ciononostante ignorare che un’invasione su larga scala risulterebbe per lui rischiosa in termini di costi economici, militari e diplomatici. E’ quindi verosimile che abbia aumentato la pressione per ottenere qualcosa in cambio. Tuttavia, nel momento in cui le sue pretese sullo stop all’allargamento della Nato a Est sono state giudicate irricevibili da parte occidentale, un’eventualità particolarmente probabile (e che potrebbe verificarsi nelle prossime quattro o sei settimane) è quella di un’invasione parziale, che si concentri cioè soltanto su porzioni orientali di territorio ucraino. Un simile scenario innescherebbe, sì, pesanti sanzioni da parte americana. Tuttavia Putin farebbe probabilmente affidamento sulla sponda cinese per contenerne l’impatto (anche se, va ricordato, la posizione di Pechino sul dossier ucraino continua a rivelarsi piuttosto ambigua).

Biden, come accennato, resta per ora in mezzo al guado. Annuncia nuovi aiuti militari a Kiev, ma ha già escluso aprioristicamente un intervento militare americano. Ribadisce il suo sostegno politico all’Ucraina, ma ha spinto per affossare in Senato l’emendamento del repubblicano Ted Cruz, che prevedeva di comminare delle sanzioni contro il controverso gasdotto Nord Stream 2. Questa oscillazione costante e contraddittoria fiacca la posizione di Washington e indebolisce Biden sia sul fronte internazionale che interno. Sul piano internazionale, il presidente americano si mostra debole e indeciso, incoraggiando così indirettamente un effetto domino che potrebbe presto riguardare Taiwan. Sul piano interno, gran parte del Partito repubblicano lo accusa di eccessiva arrendevolezza. Sullo sfondo, intanto, la Germania continua a muoversi nell'ambiguità.

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