Politica
April 03 2021
La cattiva gestione della pandemia, il New Green Deal di difficile applicabilità, le incertezze sul Recovery Fund. I fallimenti dei vertici continentali rendono palesi tutti i limiti di un'istituzione iper tecnocratica ma non solidale con i cittadini.
Uno spettro s'aggira per le auguste stanze di Bruxelles: quello di Pio IX. Come l'ultimo Papa re, la tecnocrazia dell'Ue ha sancito il dogma dell'infallibilità dell'Europa. Ma i dogmi non sono atti di governo, bensì di fede e così può capitare che l'eresia s'annidi là dove meno te lo aspetti: nel centro studi della Deutsche Bank. Il capo economista Eric Heymann ha scritto: «Sul progetto del New Green Deal elaborato dalla commissione di Ursula von der Leyen il dibattito non è onesto: bisogna dire chiaro che arrivare a emissioni zero nel 2050 porterebbe a una notevole perdita di benessere e di posti di lavoro. Il programma ecologista dell'Ue non funzionerà senza una certa, massiccia dose di ecoditattura».
Il dossier della banca tedesca chiede esplicitamente ai politici di uscire dalle fumisterie del politically correct illustrando quali conseguenze il «nuovo corso verde» avrà sull'edilizia, sull'industria automobilistica e su tutta l'industria pesante, ma anche in termini di compressione dei «diritti individuali come la libertà di scelta o i diritti di proprietà». «Questo invocare l'ecoditattura» nota con PanoramaCorrado Ocone, filosofo liberale, «è la palese dimostrazione del perché l'Europa va incontro al suo fallimento. È stata costruita a misura di tecnocrati e non di popoli. C'è un deficit di democrazia: vale per le scelte economiche ed ecologiche, vale per l'incapacità a trovare i vaccini».
E tanto per dire come stanno le cose, nove Stati membri tra cui la Germania hanno chiesto alla Commissione di rivedere il piano Farm to fork (dalla campagna al piatto) che impone limiti duri e cogenti all'agricoltura perché insostenibile economicamente, a cominciare dagli allevamenti di maiali tedeschi, uno dei punti forti della zootecnia nel Paese.
È un atto d'accusa duro e circostanziato. Viene dalla «fu locomotiva dell'Unione», visto che la Germania è impantanata nella crisi da vaccini con relativi scandali, ed è l'ennesimo che investe la Commissione europea. Si trincera Bruxelles - come Pio IX - dietro una presunta infallibilità, ma gli errori si moltiplicano in una lista che appanna e di molto la prospettiva europea. Il più vistoso e urgente è il pasticcio su AstraZeneca se anche Mario Draghi, l'incarnazione dell'eurocrazia, ha dovuto ammettere nella sua prima conferenza stampa venerdì 13 marzo: «Sì, in questo periodo telefono spesso alla von der Leyen. Serve pragmatismo, prima si cerca il coordinamento europeo, poi si fa altrimenti. Così sta facendo Merkel per quanto riguarda Sputnik, e così faccio io».
Fuor di cortesia istituzionale significa: o l'Europa si muove o ognuno fa per sé. La presidente della Commissione europea ha tardato nell'approvvigionarsi di vaccini, ha sbagliato a fare i contratti, si è comportata da compratore anche un po' avaro e non ha investito un euro nella ricerca e produzione dei vaccini. Adesso sa solo fare (fintamente anche perché, per come sono stati scritti i contratti affidati alla capo interprete Sandra Gallina, non se lo può permettere) la voce grossa contro AstraZeneca (rea di fornire sieri alla Gran Bretagna e di aver sfruttato tecnologia britannica) e di bloccare le esportazioni di dosi. Il confronto dell'Europa con il resto del mondo è impietoso.
La Gran Bretagna ha vaccinato 30 milioni di cittadini, l'Europa neppure 26 milioni, gli Stati Uniti 130. Tradotto in denari contanti, è un gap spaventoso che colloca l'Eurozona in fondo alla lista delle economie sviluppate. Mentre buona parte del mondo riapre la Germania resta chiusa, la Francia e l'Italia pure e, come sottolinea il professor Matteo Bassetti del San Matteo di Genova, «in Europa sui vaccini siamo indietro di sei mesi».
La prima epidermica considerazione è che forse la Brexit per i sudditi di Elisabetta II è stata un affare. È quello che la Ue non vuole sentirsi dire, ma c'è la frase di Draghi: «E poi si fa altrimenti». Parlando sempre di soldi gli Usa hanno messo in campo aiuti diretti per 3.900 miliardi di dollari, la Gran Bretagna per 850 miliardi di sterline, Bruxelles si ripara dietro il salvifico Recovery Fund che è un ulteriore flop, così come il Mes sanitario che nessuno ha attivato. Il Recovery Fund sta per diventare un clamoroso buco nell'acqua, nonostante raccomandazioni e buoni uffici del commissario all'Economia Paolo Gentiloni. Non ne parla più nessuno, ma manca meno di un mese a quando l'Italia dovrebbe presentare i suoi piani. Chi lo ha già fatto ha scoperto che è come infilarsi in un girone dei dannati.
Le burocrazie europee non sbloccano i piani di 11 Stati e intanto vengono rimodulati gli importi. L'Italia ha perso il primato dei finanziamenti a fondo perduto: ne avrà di più la Spagna (87 miliardi gli iberici, 80,76 miliardi noi) che però non prenderà, come peraltro il Portogallo, i prestiti. E l'Italia sa già che non riceverà più i mitizzati 209 miliardi, se va bene saranno 191,5. Il punto è: quando? Probabilmente i primi 20 miliardi non arriveranno prima di novembre. Esattamente un anno e mezzo dopo l'inizio della pandemia, mentre il resto del mondo sarà ripartito.
Gli errori dell'Ue non si fermano qui. C'è un'enorme sottovalutazione della politica estera. Adesso l'Europa è costretta a litigare con la Russia (mentre però mendica da Vladimir Putin il vaccino Sputnik) e addirittura mette sanzioni alla Cina tre mesi dopo aver firmato per imposizione di Angela Merkel - con la von der Layen a fare da notaia - un mega accordo sugli investimenti con il leader cinese Xi Jinping.
Perché accade? Semplicemente perché Joe Biden ha detto agli europei: o con me o contro di me. E per far capire bene il concetto il presidente americano, dopo vent'anni di assenza, è tornato il 25 marzo a partecipare a un Consiglio europeo. Che le cose stiano così lo dimostra la professione di atlantismo che Mario Draghi si è affrettato a fare appena insediato. Ora l'Europa torna nei ranghi atlantici per avere un po' di sieri anti-Covid dagli Usa.
Nella sequela degli euro-errori ce n'è uno che ha avuto conseguenze devastanti per l'Italia. È responsabilità di Margrethe Vestager, danese della sinistra radicale, commissaria alla Concorrenza. Si oppose al salvataggio delle banche italiane attraverso l'intervento del Fondo interbancario, provocando cinque fallimenti e gettando sul lastrico centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori. Ebbene, la Corte di giustizia europea le ha dato torto. Il danno - malcontato - è di 50 miliardi, ma all'Italia nessuno li ridarà.
In questi giorni viene d'attualità un altro macroscopico errore. L'Eba (l'Istituto di vigilanza europea sulle banche a cui però sono sottratte sia le Sparkasse sia le Landbank, ovvero gli istituti di risparmio e locali tedeschi) fa entrare in vigore il nuovo regolamento: chiunque abbia un conto in rosso è dichiarato insolvente.
In Italia dal 30 giugno ci saranno 2,7 milioni tra persone e aziende che rischiano il fallimento per questa norma che colpisce le sofferenze economiche in piena pandemia. Non deve perciò stupire se dal 2018 al 2020 gli italiani che ritengono l'adesione all'Europa uno svantaggio sono aumentati del 20 per cento. Oggi il 67%, misurata da Tekné, dice che l'Europa non serve.
«È inevitabile che sia così» commenta Ocone, che due anni fa ha dato alle stampe per Historica il saggio Europa. L'Unione che ha fallito, «perché è scritto nel Dna dell'Ue: quello della istituzioni europee è un Dna a-democratico. Ma attenzione, ha fallito l'Europa come struttura, non l'idea di essa. Questa Unione è costruita sull'incontro di due ideologie, quella liberal - che corrisponde alla sinistra contemporanea - e quella liberista - che è il capitalismo finanziario senza volto. Entrambe hanno come finalità il costruttivismo: creare strutture tecnocratiche a tavolino.
Tutto ciò è stato pensato come funzionale alla globalizzazione, ma appena essa si è arenata, e la pandemia ne è una dimostrazione, questo stesso costruttivismo con gli eccessi di regole e burocrazie è andato in crisi. Inoltre, l'Europa di Bruxelles è priva di un riferimento ideale, non ha una costituzione, e aver negato le radici giudaico-cristiane toglie qualsiasi possibilità di orizzonte comune. Un'Unione simile è destinata ad andare in pezzi. Sarebbe interessante rileggere gli articoli che Boris Johnson scriveva da inviato a Bruxelles. Emergerebbe la distanza abissale che esiste tra un osservatore che arriva dalla più antica democrazia del mondo e i comportamenti degli eurocrati». In fin dei conti quando Draghi dice: diversamente faremo per nostro conto, non fa altro che rivendicare uno spazio di sovranità. «Certo» conclude Ocone «l'identità delle nazioni è un antidoto alla burocrazia illiberale».