Lite Usa-Cina per le isole Paracel, non per libertà di navigazione, ma perché sono piene di petrolio
Pressione eccessiva nel Mare Cinese Meridionale, questa l'ultima accusa di Pechino mossa agli Stati Uniti, che secondo il Dragone starebbero perseguendo un'egemonia silenziosa. L'ultimo fatto risale a qualche giorno fa, quando un cacciatorpediniere lanciamissili della U.S.Navy, la Uss Hopper, partita dalle Hawaii, si è avvicinata all'arcipelago delle isole Paracel, ufficialmente per affermare “diritti e libertà di navigazione”, come ha annunciato domenica 26 novembre la Settima flotta in un comunicato stampa. L'azione, neanche a dirlo, è stata giudicata illegale da Pechino, che ha risposto definendo gli Stati Uniti un “creatore di rischi” per la sicurezza e affermando che l’operazione è “una prova inconfutabile del fatto che gli Usa stanno perseguendo “l’egemonia della navigazione” e la “militarizzazione del Mar Cinese Meridionale”. Lo ha affermato il colonnello dell’aeronautica cinese Tian Junli, portavoce del Southern Theatre Command. in un comunicato stampa di risposta emesso alcune ore dopo il fatto, nel quale viene specificato che “Pechino ha organizzato navi e aerei per tracciare, monitorare e allertare la Uss Hopper.”
Le isole Paracel sono in realtà una serie di barriere coralline, bassi fondali e isole situate a circa 520 km a sud della Cina continentale e a 550 km a est del Vietnam, la cui sovranità territoriale è rivendicata da Cina, Vietnam e Taiwan. Tuttavia, mentre Vietnam e Taiwan le sfruttano per la pesca, Pechino mantiene attivi circa venti avamposti, almeno secondo il sito web World Factbook della Cia. Di fatto però la Marina Usa opera abitualmente vicino a questo arcipelago come a quello delle isole Spratly, anch'esso conteso e situato nel Mar Cinese Meridionale, per protestare contro le restrizioni cinesi sui passaggi dei mercantili, nonché sulla necessità di avvisare le tre nazioni che le rivendicano prima di effettuare passaggi con navi militari.
“Impegnandosi in un passaggio innocuo senza dare preavviso o chiedere il permesso a nessuno dei ricorrenti, gli Stati Uniti hanno sfidato queste restrizioni illegali imposte da Cina, Taiwan e Vietnam”, ha scritto nelle notizie il portavoce della Settima flotta Usa, il tenente Kristina Wiedemann, che ha spiegato: “Gli Stati Uniti hanno dimostrato che il passaggio non è soggetto a tali restrizioni”. Non è la prima volta che si verifica un tale evento: il tre novembre scorso un altro cacciatorpediniere, la Uss Dewey, aveva navigato dentro al confine delle 12 miglia nautiche dagli avamposti nelle Spratly come “esercizio pacifico e di routine dei diritti e delle libertà.
Vero è che le restrizioni al passaggio inoffensivo violano la convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, un accordo internazionale applicabile a navi civili e militari, firmata e ratificata da 168 dei 193 stati membri delle Nazioni Unite. Atto che però gli Stati Uniti devono ancora ratificare nonostante l’ampio sostegno che hanno fornito. Nel 1982 il presidente Ronald Reagan rifiutò di firmarla a causa delle disposizioni sull’estrazione mineraria dei fondali marini, che avrebbero avviato lo sfruttamento delle Spratly per il vero tesoro che nascondono oltre al fatto di possedere fondali molto pescosi: il petrolio. La diatriba sulla proprietà delle concessioni petrolifere vede discutere da decenni Filippine, Taiwan, Brunei e la Cina, che ritiene l’intero mare di sua proprietà. Alle Spratly dal 1992 ogni contendente aveva realizzato un proprio avamposto, un porto, alcune stazioni meteorologiche e per la misurazione di parametri ambientali e diverse infrastrutture turistiche, ovvero ogni cosa necessaria per tenerle sotto controllo senza scatenare reazioni da parte degli avversari.
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