Negli Usa la marijuana è droga leggera, con ovvie ripercussioni finanziarie

La marijuana sarà classificata come droga meno pesante negli Stati Uniti. E il mercato azionario è il primo a reagire e festeggiare alla svolta storica. Le azioni di Tilray, un gigante del settore, sono balzate del 39%, mentre quelle di Canopy Growth hanno registrato un boom del 79%. Da anni l’industria della cannabis sperava in una svolta e ora, con le elezioni alle porte, sembra più vicina. Il Dipartimento di Giustizia (dopo l’intervento del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani su richiesta del presidente Biden) ha raccomandato di cambiare la classificazione della marijuana facendola passare dalla Tabella I (sostanza che crea una forte dipendenza senza uso medicinale) alla Tabella III (più simile al Tylenol con codeina, cioè con un potenziale da moderato a basso di dipendenza fisica e psicologica).

Da oltre cinquant’anni la marijuana negli Stati Uniti è classificata nella stessa categoria dell'eroina, delle metanfetamine e dell'LSD. Per uso ricreativo e dai 21 anni in su è legale in 24 Stati, due territori e il Distretto di Columbia. L’ uso terapeutico è lecito in 38 Stati. La nuova misura, il cui iter burocratico sarà comunque lungo, non depenalizzerà completamente la marijuana a livello federale, ma potrebbe espandere l'accesso al farmaco per usi medicinali, permettere più ricerca e rafforzare l'industria del settore.

Si parla di un business di circa 30 miliardi di dollari (27,59 miliardi di euro) all'anno e l’industria multimiliardaria vede già i risvolti positivi e una nuova prospettiva di sviluppo. Innanzitutto, nuove regole possono voler dire agevolazioni fiscali, che non sono disponibili per le aziende che trattano sostanze della Tabella I o della Tabella II, portando probabilmente a prezzi più bassi e a più assunzioni. Le aziende produttrici di cannabis potrebbero con la nuova classificazione avere accesso a crediti d’imposta e detrazioni per le spese aziendali (affitto, buste paga). Questo si tradurrebbe in 3,5 miliardi di dollari di liquidità nel mercato, con una riduzione del costo complessivo del capitale e quindi un rafforzamento degli investimenti e delle fusioni e acquisizioni nel settore. Inoltre, pagare meno tasse consentirebbe, dicono le aziende produttrici di cannabis, di competere contro la concorrenza illegale. Un allentamento della posizione della marijuana a livello federale consentirebbe poi alle principali borse valori di inserire in listino le aziende che commercializzano cannabis e quindi attirare anche le società straniere del settore.

E parlando di impatto economico viene in mente il Colorado. Dieci anni fa qui si legalizzò la marijuana ad uso ricreativo. Conseguenze? Dal 2014 si contano 40mila posti di lavoro, oltre 15 miliardi di dollari di giro d’affari e 2,6 miliardi di tasse nelle casse dello Stato, investiti nell’istruzione pubblica, nei trasporti e nelle politiche di prevenzione. E il Colorado è stato poi seguito da decine di Stati. Ma la marijuana è rimasta illegale a livello federale, dando vita a un corto circuito legislativo. La mossa di oggi del Dipartimento di Giustizia è dunque un primo passo verso l’omologazione tra le leggi statali e federali. E l’“accordo” legislativo significa l’accesso ai servizi bancari nazionali, meno difficoltà di trasporto interstatale, detrazioni fiscali e dunque un evidente impatto per gli affari del settore.

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