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April 16 2015
di Alfredo Mantici perLookout news
Diciamoci la verità. Vista da Mosca, la crisi in Ucraina può legittimamente essere considerata come un’offensiva strategica della NATO e degli Stati Uniti per esercitare una forte pressione politico-militare sui sacri confini della Madre Russia. Non è un segreto che gli americani con la CIA e con l’uso spregiudicato dei mercenari della Blackwater appoggiarono gli insorti di Piazza Maidan che poi, nel febbraio del 2014, costrinsero alla fuga in elicottero da un cortile del palazzo del governo il presidente Viktor Yanukovich, legittimamente eletto con libere elezioni.
Da quel momento, quegli stessi americani che negli anni Novanta hanno appoggiato anche militarmente le spinte secessioniste che hanno portato alla disgregazione dell’ex Jugoslavia, sono diventati i paladini della difesa dei confini ucraini contro secessionisti che, a ben vedere, avanzano le stesse rivendicazioni di sloveni, croati e kosovari. Insomma, Belgrado ha dovuto accettare anche con i bombardamenti le spinte secessioniste, mentre Kiev si può opporre alle stesse spinte con il sostegno di chi ha contribuito alla dissoluzione di un Paese europeo come la Jugoslavia.
Per Mosca, il sostegno occidentale al governo ucraino non è altro che un modo per espandere pericolosamente i confini della NATO. I politici russi sono notoriamente lungimiranti e per questo motivo hanno aperto da qualche anno un nuovo fronte del confronto Est-Ovest, che guarda al Polo Nord.
Grazie al riscaldamento climatico e al parziale scioglimento dei ghiacci dell’Artico, si sono aperte in quei mari finora inaccessibili nuove vie di comunicazione che portano dritte dritte a giacimenti di gas naturale che, si stima, contengano il 30% delle riserve mondiali e il 13% delle riserve di petrolio. Lo scioglimento dei ghiacci ha inoltre aperto nuove rotte di comunicazione tra l’Asia Orientale e l’Europa attraverso i mari del Polo e questa è certo un’opportunità per la Russia per sviluppare infrastrutture logistiche nel nord del Paese. Siccome le vie del commercio e del progresso economico sin da quando esiste l’uomo sono state aperte dai militari, Mosca ha attivato un processo di militarizzazione della parte russa dell’Artico, dislocando la nona flotta – che rappresenta i due terzi di tutta la forza navale russa – nell’arcipelago della Novaya Zemlya. Mentre sull’isola maggiore è stato recentemente ingrandito e ammodernato un aeroporto attrezzato per accogliere i jet e i bombardieri più moderni e sofisticati dell’ex Armata Rossa.
Forse allo scopo di mandare un segnale concreto alla NATO, alla fine del 2014 il ministero della Difesa russo ha organizzato nella regione artica l’esercitazione “Vostok 2014”, la più grande esercitazione militare dalla caduta dell’Unione Sovietica. Migliaia di soldati di terra, mare e aria hanno “giocato alla guerra” utilizzando gli armamenti più moderni e sofisticati, missili tattici balistici compresi. Nello stesso tempo, il comando della nona flotta ha annunciato il dispiegamento della brigata di fanteria di marina nella regione dell’Artico per tutto il 2015.
La spiegazione politica di questa presenza militare nelle regioni dell’Artico è contenuta nel testo della nuova dottrina militare russa, firmato dal presidente Vladimir Putin nel dicembre del 2014. Secondo la “Dottrina Putin”, l’Artico viene inserito nella lista delle zone prioritarie di influenza di Mosca. L’importanza del suo controllo viene equiparata all’importanza assegnata al Mar Nero e alla Crimea.
Queste iniziative hanno sollevato i giustificati timori dell’unico Stato dell’Alleanza Atlantica presente fisicamente nella regione artica, la Norvegia. Il governo di Oslo sa di essere diventato una “bestia nera” per Mosca, dopo aver preso parte attiva al programma di sanzioni decise dai membri della NATO in risposta al sostegno russo dei separatisti ucraini. Putin, d’altronde, sa bene che l’articolo 5 della Carta della NATO prevede una risposta automatica di tutti i membri dell’Alleanza nei confronti di una possibile aggressione contro uno di loro.
Per questo, difficilmente i russi supereranno il punto di non ritorno nei rapporti con i norvegesi al Polo Nord. Tuttavia, l’apertura di questo nuovo fronte introduce un ulteriore elemento di destabilizzazione nei rapporti tra Mosca e l’Occidente e può essere utilizzata da Putin per alleggerire la pressione in Ucraina. Inoltre, il Cremino sa bene che quando si tratta di acquisire territori l’azione vale più delle parole, come insegna il caso della Crimea. Per cui è presumibile che passo dopo passo l’influenza russa nei mari dell’Artico sia destinata ad aumentare, mentre NATO ed Europa sono impegnate e “distratte” dalla crisi ucraina.