Uzbekistan, la nuova via della seta

Moderno e misterioso come un algoritmo. È l’Uzbekistan, che oltre mille anni fa diede i natali allo scienziato da cui prende il nome il termine fondamentale della digitalizzazione, l’indicatore più infallibile della globalizzazione stile Silicon Valley. Si chiamava Muhammad Ibn Musa al-Khwarizmi, genio della matematica e dell’astronomia. Per non farsi mancare niente, con il suo testo principale inventò le equazioni; la parola «algebra» (al-gabr) deriva dalla traslitterazione latina di parte del titolo.

Algoritmo e algebra impongono uno stile. Per spiegare l’Uzbekistan bisogna partire dai numeri: 40 milioni di abitanti, quarto Stato al mondo per riserve auree, 97 per cento di alfabetizzazione (con il Politecnico di Torino e l’Università di Westminster come fiori all’occhiello nella specializazione), 79 per cento dei cittadini musulmano (5 per cento cristiano ortodosso), 100 mila nuove imprese create solo lo scorso anno, testimonianza di una nazione in grande crescita sociale ed economica. E soprattutto 10 miliardi di investimenti pronti per l’Italia.

Si è discusso di questo l’8 giugno, nella visita a Roma e Milano del presidente Shavkat Mirziyoyev, che ha incontrato il capo dello Stato Sergio Mattarella, la premier Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e gli stakeholders protagonisti degli accordi per 45 progetti in settori primari come la sicurezza, la tecnologia, l’export, la metallurgia, l’energia, la chimica, l’educazione, l’agricoltura e il tessile (lo Stato chiave dell’Asia centrale è il sesto produttore di cotone al mondo dopo India, Cina, Stati Uniti, Pakistan e Brasile). La nuova Via della Seta, che continua ad avere in Samarcanda la sua stazione di servizio spirituale, passa inevitabilmente di lì. A testimoniare il salto di qualità di un Paese dallo sviluppo prepotente, l’anno scorso l’Economist ha definito l’Uzbekistan «Country of the Year» per i passi compiuti in economia e nello sviluppo democratico.

Gli accordi di Roma, sanciti con un «partenariato strategico», dimostrano come Italia e Uzbekistan abbiano intenzione di camminare insieme in un’area decisiva del pianeta, dove nazioni e popoli stanno moltiplicando gli sforzi per entrare nella modernità dopo gli strascichi di 70 anni di isolamento sovietico. Nella corsa, Tashkent è all’avanguardia e guarda all’Italia come a un partner primario in questa fase di grande apertura economica. Soprattutto, come da protocollo di partenariato, «nell’interazione politica, in materia di difesa e sicurezza, nonché in ambito legale, cooperazione economica e commerciale, cultura, scienza, educazione e turismo». Il ruolo uzbeko è fondamentale per il mantenimento della stabilità regionale; il fatto che confini con tutti gli altri Stati dell’area, compreso l’Afghanistan, lo fa diventare ago della bilancia. Non solo. Dopo l’allontanamento da Mosca e la decisione di reintrodurre l’alfabeto latino vietato a suo tempo da Stalin, il presidente Mirziyoyev ha scelto il nostro Paese per stringere un’alleanza privilegiata. Poiché le recenti modifiche costituzionali gli consentiranno di candidarsi per altri due mandati di sette anni l’uno, la modernizzazione dell’Uzbekistan sembra viaggiare su binari sicuri. La stessa Unione europea vede con grande interesse la partnership, a tal punto che Josep Borrell (rappresentante Ue per gli Affari esteri) nell’ultimo summit tenuto a Samarcanda ha sottolineato «l’importanza delle riforme sulla lunga via verso la democrazia».

Depositario di una civiltà millenaria (il filosofo Avicenna, nume tutelare della medicina, nacque della regione di Bukhara), l’Uzbekistan fu la patria geografica dell’uomo di Neanderthal agli inizi della Storia, nell’era paleolitica. Nell’Ottocento è stato al centro del «Grande Gioco», il confronto geopolitico e militare tra Impero russo e Impero britannico, la partita a scacchi fra Buckingham Palace e gli Zar disputata lungo un secolo nelle duemila miglia che separavano l’India inglese e le regioni periferiche della grande Russia. Terre immortali, dal fascino letterario, spesso neppure tracciate sulle mappe.

Oggi quei luoghi carichi di suggestioni sono mete privilegiate del turismo più esotico, che arrivano a noi da Gengis Khan e prima ancora dall’immenso impero persiano. La Samarcanda medioevale (eterna come Roma, capitale sotto la guida di Tamerlano), i minareti e la fortezza di Bukhara, la città museo di Khiva rappresentano l’Oriente più «wild» in tutto il suo polveroso splendore. Perfino la cucina sa di tradizione e di identità: il piatto nazionale è il plov (riso bollito con carne o verdure) la cui origine risale, secondo la leggenda, ad Alessandro Magno. Il condottiero avrebbe ordinato ai suoi cuochi di preparare una pietanza che fosse nutriente ma al tempo stesso leggera per affrontare le campagne militari. Per gli amanti del trekking e dell’avventura, ecco due obiettivi dal fascino supremo. Il primo è il lago d’Aral in rapida essiccazione; prima che il bacino iniziasse a diventare poco profondo era il quarto più grande del pianeta.

Sul fondo sono state rinvenute le rovine di due insediamenti e mausolei. Il secondo è l’Amu Darja, il fiume citato da Erodoto e percorso dallo scrittore Ryszard Kapuscinski nel suo capolavoro Imperium. Siamo già dentro la storia millenaria di un Paese straordinario che in Occidente è ancora poco esplorato, un luogo in cui l’antichità e la modernità si toccano, anzi si fondono in modo sorprendente. Perché è vero che le tigri vivevano alla periferia della capitale Tashkent sino a fine Ottocento, ma è anche vero che oggi l’Uzbekistan è attraversato dalle uniche metropolitane esistenti in Asia Centrale. Una nazione ideale con cui intrecciare rapporti istituzionali e fare affari, senza perdere tempo prezioso: Tashkent è l’unica grande città del pianeta in cui quasi il 100 per cento del traffico passeggeri è fornito da autobus Mercedes. Nel trasporto pubblico è messa decisamente meglio di Roma.

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