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September 06 2023
Ieri stavo ascoltando un noto programma radiofonico pre-serale. Al centro della discussione, manco a dirlo, il libro del Generale Vannacci. Uno dei due conduttori parte all'attacco nel bel mezzo della ormai banale divisione tra favorevoli e contrari: «Bisogna indagare su quanto ha guadagnato con questo libro...». La frase colpisce non per la stupidità del concetto (cosa interessa sapere quanto uno guadagna se lo fa in maniera onesta?) ma per quel verbo «indagare» che spiega molte cose.
Si indaga su cose losche, sporche, su malaffari; ecco, per la persona in questione è evidente che «Il Mondo al contrario» sia parte di questo: qualcosa di illegale.
In prima serata poi sono cominciati i primi programmi tv di approfondimento. E anche qui l'ex Generale della Folgore era uno dei temi forti. Ed anche qui alla fine si è parlato dei soldi incassati dal militare.
Stamattina nella consueta rassegna stampa trovo diversi giornali fare i conti in tasca a Vannacci, conti fatti con chissà poi quale criterio dato che si passa dal milione e più ad 800 mila euro, fino a 600 mila. Insomma, la si spara grossa. Numeri a parte però a colpire è il fatto che il successo della pubblicazione sia utilizzato come elemento di colpa. Ma da quando?
Solitamente quando un film al cinema fa il record di spettatori ed incassi se ne parla in maniera positiva; lo stesso per una serie tv capace di catturare più spettatori ed interesse degli altri. Il libro di Vannacci no; il successo in questo caso è un male, un mezzo reato.
Le ultime rilevazioni raccontano che ad agosto il discusso testo è il primo in classifica, non solo; da solo vende più del doppio degli altri 9 libri della top ten italiana. Per dirla breve: se «Il Mondo al contrario» vende mille copie, gli altri 9 insieme ne vendono 500, 50 a testa...
C'è una cosa che certi benpensanti ed opinionisti odiano e non sono le critiche: è il fatto che altri vendano più di loro, che qualcuno possa avere più successo. Fa rabbia se si tratta di un altro collega, figuratevi il mal di stomaco che provoca sapere che tanto clamore e risultati siano frutto della penna di un militare. Siamo quindi all'invidia, ai suoi massimi.
Livore che viene mascherato (in malo modo) leggendo le spiegazioni che vengono date in maniera ufficiale o informale del successo del libro di Vannacci: «L'Italia è un paese di razzisti, ignoranti. Sono loro a comprare il libro....». Ma è solo invidia di chi per arrivare al numero di testi venduti dal militare della Folgore deve scrivere un libro l'anno, per 30 anni; invidia di chi ha scritto testi che non sono mai finiti (se non per accordi con le case editrici nei tour di promozione, spesso sotto Natale) in tv o in radio o sui siti; invidia di chi non ha mai sentito al bar o a tavola una discussione sui loro scritti. Di chi si sente superiore per autodeterminazione ma poi si trova la realtà davanti con un basco e parole «scorrette« che però lasciano il segno molto più delle loro.