Veneto Banca: quadri, jet e favori per la vendita di azioni

Opere d’arte acquistate a prezzi stratosferici, aerei privati gestiti in modo assai poco economico, un cliente-azionista a cui l’amministratore delegato in persona si sarebbe preoccupato di trovare un acquirente prima del crollo, in barba alle migliaia che lo chiedevano da mesi: è ancora tutto da verificare ma appare come un film dell’orrore quello che si sta cominciando a proiettare sulla conduzione di Veneto Banca negli anni prima del crack. La trama è scritta nell’inchiesta aperta dalla Procura di Roma, da cui è già emersa un'accusa di aggiotaggio per i 5 sindaci della banca, di cui Panorama.it ha potuto consultare un fascicolo.

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I milioni di euro impiegati in questo modo da Veneto Banca rappresentano cifre certamente modeste rispetto ai miliardi di risparmio polverizzati dalla stessa (e, più o meno nello stesso periodo, dalla cugina Banca Popolare di Vicenza), ma offrono uno spaccato impressionante del vortice che ha trascinato a fondo i due principali istituti del Nordest d’Italia. “È quello che vogliamo far emergere con il progetto Giustizia risparmiatori veneti” dice a Panorama.it Patrizio Miatello, fondatore dell’associazione Ezzelino da Onara III, costituitasi nel procedimento della Procura sotto la direzione dell’avvocato Rodolfo Bettiol e del tributarista Loris Mazzon.

Lo spreco più clamoroso sarebbe cominciato, come talvolta accade, ammantato delle migliori intenzioni. La relazione di competenza tecnica della Procura di Roma racconta quel che accadde nel giugno del 2001, quando il direttore generale (il futuro amministratore delegato Vincenzi Consoli) richiamò l'attenzione in consiglio di amministrazione su una situazione assai insoddisfacente: nonostante i suoi 130 anni di storia, Veneto Banca non possedeva “alcunché di significativo con riferimento a beni appartenenti al patrimonio artistico e culturale del proprio Paese e, cosa forse ancor più grave, del proprio territorio di appartenenza”. Come si poteva non condividere una tale doglianza? E infatti il cda approvò all'unanimità - è sempre la relazione della Procura a riportarlo - la proposta di destinare risorse all’acquisto mirato di opere d’arte e di costituire un apposito organo consultivo “composto da esperti del settore e da un rappresentante del nostro Consiglio di amministrazione”.

Le opere d'arte
L’organismo, ahimé, non fu mai costituito, ma gli acquisti partirono in quarta lo stesso e senza neppure una procedura codificata per garantire normali controlli. Il risultato, riscontrabile secondo la Procura nel libro cespiti della banca, consisterebbe di ben 462 opere per un valore complessivo di acquisto di oltre 14 milioni di euro (di cui solo 57, per un valore inferiore al milione di euro, iscritte prima del giugno 2001). Eccone il dettaglio: 254 dipinti (valore di acquisto 5,9 milioni di euro), 116 arredi (4,6 milioni), 69 tappeti (1,8 milioni), 23 sculture (1,6 milioni). Interessante notare che per ben 4,5 milioni gli acquisti non sarebbero stati deliberati da organi collegiali della banca e per 2,5 milioni di euro le autorizzazioni dei vari soggetti sarebbero state concesse solo dopo l’acquisto.

Se sono vere queste premesse, non stupisce che la banca non abbia visto incrementare nel corso degli anni il valore dei propri investimenti. Anzi. È la stessa Procura a ricordare che le perizie commissionate nella seconda metà del 2015 alle due case d’aste internazionali Sotheby’s e Bonhams su 42 delle 81 opere acquistate nell’ultimo decennio hanno stimato un valore reale oscillante fra 872 mila euro e 1,2 milioni, contro un valore d’acquisto di ben 6,2 milioni. Meno di un sesto!

Gli aerei
Stesso andazzo sembra aver contraddistinto la gestione degli aerei della banca, anch'essa oggetto della relazione della Procura. La vicenda prende avvio con la constatazione di una spesa di 360 mila euro per una settantina di voli sottolineata in una riunione di consiglio del marzo 2007 dal presidente Flavio Trinca (dunque presumibilmente con l’intento di risparmiare), prosegue con l'acquisto di un jet in leasing, pochi mesi dopo, per 4,7 milioni (poi sostituito nel 2011) e finisce con una spesa annua per il periodo 2012-2015 di circa 1 milione l’anno, con l’aggravante della mancanza di un contratto con la società di trasoprto e di una serie di costi che, sempre stando alle carte della Procura, sembrerebbero attribuiti impropriamente a Veneto Banca anziché a quest'ultima.

La vendita delle azioni
Non minori perplessità, anche se su un piano del tutto diverso, suscita il modo in cui sarebbero state gestite le richieste di vendita delle azioni quando si è cominciato a capire che i titoli erano sopravvalutati. Premesso che la banca non avrebbe potuto promuovere in alcun modo la compravendita ma limitarsi a effettuare lo scambio fra due azionisti autonomamente intenzionati rispettivamente a comprare a vendere (altrimenti si sarebbe trattato di una vera e propria intermediazione finanziaria vietata dal testo unico bancario), ecco quel che sarebbe invece accaduto nell’autunno del 2014, quando un cliente di Pordenone chiese di vendere azioni per un controvalore di ben 6,8 milioni di euro.

La direzione centrale (nella persona di Consoli, secondo una testimonianza raccolta dalla Procura) si sarebbe attivata direttamente per chiedere la disponibilità all’acquisto di un cliente della filiale di Avellino di Banca Apulia. Entrambi i contraenti pare abbiano avuto i loro vantaggi: il venditore di liberarsi delle sue azioni al prezzo di 39 euro e 50 (un livello stratosferico rispetto a quello che avrebbero raggiunto nel giro di un anno) e il compratore di ottenere agevolazioni importanti nella concessione di prestiti ad aziende a lui riconducibili. A subire un torto sarebbero stati in questo caso i titolari di ben 2.450 ordini di vendita (per un totale di oltre 9 milioni di euro) che si erano messi in fila prima di lui, a cui era stato detto che non c’erano acquirenti possibili.

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