News
March 29 2018
Il Venezuela andrà al voto il 20 maggio per eleggere il presidente, dopo la decisione di Nicolas Maduro di posticipare le consultazioni rispetto al 22 aprile. Una mossa annunciata a marzo, quasi a sorpresa, frutto dell'accordo tra lo stesso Presidente e Henri Falcón, unico rappresentante dell'opposizione a non aver aderito al boicottaggio delle elezioni deciso dal fronte anti-chavismo, ovvero la Mesa de Unidad Democratica (MUD).
In questo modo si intende dare parvenza di trasparenza e regolarità alle consultazioni per eleggere il nuovo Presidente, dopo la riforma costituzionale che ha portato a sostituire, la scorsa estate, il Parlamento (guidato dalle opposizioni stesse) con l'Assemblea Costituente.
L'Onu ha intenzione di inviare propri osservatori, ma il vero problema restano la fame e la povertà in cui versa la maggior parte del Venezuela: la crisi economica in corso da tempo ha messo in ginocchio la popolazione, colpendo in particolare i bambini, dei quali 300 mila rischierebbero la vita per malnutrizione. Lunghe file fuori dai supermercati, negozi senza più scorte, ma anche cittadini che cercano cibo tra la spazzatura sono scene ormai all'ordine del giorno in un paese membro del'Opec, l'organizzazione dei produttori di petrolio.
Il 90% dei profitti è legato al greggio, ma le sanzioni internazionali hanno messo in ginocchio l'economia. Per evitare il default, Maduro ha creato una criptovaluta, il Petro, emessa lo scorso febbraio. Ma la situazione peggiora di giorno in giorno, in vista di un voto al quale l'erede dello scomparso Chavez si presenta pressoché senza avversari, finiti in carcere, in esilio o giudicati ineleggibili con appositi decreti.
Ma prima di tutto, la situazione economica.
L'inflazione nel 2017 ha raggiunto il 2.735%, ma nel 2018 si stima che possa toccare il 6.000% (addirittura 13.000% secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale), rendendo inaccessibili molti prodotti comuni. Nonostante l'ennesimo aumento dei salari minimi, deciso da Maduro alla fine di dicembre, lo stipendio base è pari a 248.510 bolivar e unito ai ticket alimentari (utilizzati in buona parte al mercato nero) arriva a meno di 800.000 bolivar, che equivalgono ad appena 7 dollari.
Secondo un reportage del quotidiano La Nacion, la crisi è tale che per comprare una sola bottiglia di gazzosa occorre il 12% di un salario minimo. Il Paese vive un paradosso, per cui il prezzo del carburante è ai minimi, mentre quello del cibo è spesso inarrivabile per buona parte della popolazione. È ancora il giornale a spiegare come una sigaretta costi quanto 166 litri di benzina di ottima qualità, che possono arrivare a 1.000 litri per quella più economica.
In un situazione del genere sono migliaia i venezuelani che cercano di lasciare il Paese, per raggiungere soprattutto la vicina Colombia: secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite 52 mila persone tra gennaio e luglio 2017 hanno fatto richiesta di asilo in un Paese straniero. Diversi organismi internazionali hanno tentato di creare corridoi umanitari, osteggiati dal Governo.
Ad aggravare la situazione sono anche i disordini e le violenze sociali: secondo la Ong Foro Penal già nel 2014 erano oltre 12.000 i cittadini arrestati e detenuti per "motivi politici". Lo scorso dicembre ha fatto scalpore l'arresto di due funzionari politici che avevano gestito il ministero del Petrolio e la compagnia petrolifera di stato Pdva: ufficialmente coinvolti in un'inchiesta anti-corruzione, in molti sospettano che siano stati eliminati in quanto rivali politici di Maduro.
Caracas risulta in vetta alle classifiche delle città più violente al mondo, con 6 mila omicidi registrati lo scorso anno.
Nel 2017 l'agenzia di rating Standard & Poor ha dichiarato in default il governo di Caracas, salvato dalla bancarotta solo grazie all'intervento di Cina e Russia.
L'inflazione della moneta ufficiale, il Bolivar, ha raggiunto il 3.000%. Da qui la decisione di dar vita a una propria criptomoneta, paragonabile al Bitcoin: si tratta del Petro, il cui valore dovrebbe corrispondere a un barile di petrolio.
Nelle intenzioni del governo Maduro, che ha programmato il conio di 100 milioni di Petro (pari a circa 6 miliardi di dollari) potrebbe aiutare ad aggirare le sanzioni imposte dagli Usa, permettendo alle aziende private di pagare le imposte con la criptovaluta. Il problema, secondo il deputato venezuelano Jorge Millan, è che il Venezuela non sarebbe neppure in possesso del greggio equivalente, che invece risulta ancora giacere nei pozzi dell'Orinoco e che sarebbe gestito da aziende private, dunque non nella disponibilità statale.
Dietro il Petro, dunque, ci sarebbe la volontà di raccogliere valuta per far fronte al debito del Paese: con l'insediamento di Maduro al posto di Chavez, il Venezuela ha seguito la strada dell'isolamento internazionale, che limita anche l'export di petrolio, ovvero la principale risorsa del Paese.
È in questo scenario che Nicolas Maduro si ricandida alla guida del Paese in un clima di tensione politica massima. Con lo slittamento della data, il Presidente-dittatore venezuelano avrebbe mirato a dividere le opposizioni, che inizialmente si erano compattate in un fronte unico, il MUD, deciso a boicottare il voto.
Ma Henri Falcón, ex governatore dello stato Lara sganciandosi dall'asse anti-Maduro, ha deciso di candidarsi. Dando un mese in più di tempo, Maduro ha voluto mostrasi collaborativo, per permettere all'avversario (o ai possibili altri avversari) di condurre una campagna elettorale, consentendo anche ai venezuelani in elisio all'estero di registrarsi per l'apposito voto per corrispondenza. Il gesto mirerebbe anche a consentire all'Onu di inviare propri osservatori per supervisionare la consultazione.
A chiedere uno slittamento, inoltre, era stata l'Organizzazione degli Stati Americani (OSA), con una petizione firmata da Argentina, Bahamas, Barbados, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Stati Uniti, Guyana, Guatemala, Honduras, Giamaica, Messico, Panama, Paraguay, Perù, Uruguay e Santa Lucia.
Il successo dell'attuale Presidente appare scontato: se Falcón appare troppo debole, l'unico altro nome in gioco è quello di Reinaldo Quinaja, candidato del Partito Unità Politica Popolare, costola fuoriuscita del Partito Socialista Unico, di ispirazione chavista. L'ingegnere punta a portare a termine il "processo rivoluzionario del presidente Chávez", dopo aver puntato la campagna elettorale sulla possibilità del Venezuela di "uscire dalla crisi".
A sollevare altri dubbi sull'esito della consultazione sono anche le procedure di voto: si temono malfunzionamenti dei dispositivi elettronici Smartmatic, che saranno usati per le elezioni.
Uno dei motivi di maggiori disordini politici riguarda l'Assemblea Nazionale Costituente che, scavalcando il Parlamento, ha indetto la consultazione. Si tratta di un organo voluto da Maduro con il compito di legiferare in materie di ordine pubblico, sicurezza nazionale, diritti umani, economia e finanze. Lo stesso leader venezuelano lo aveva definito, lo scorso luglio all'atto della sua nascita, "l'unico potere plenipoteziario, sovracostituzionale e originale" della Costituente.
Esautorando il Parlamento, in mano alle opposizioni, secondo gli analisti è diventato il braccio esecutivo del Presidente-dittatore, una sorta di Consiglio dei Ministri alle sue dirette dipendenze.
A guidare l'organismo è Delcy Rodriguez, già ministro degli Esteri, che di fronte alle proteste delle opposizioni e alle minacce di boicottaggio ha fatto approvare un decreto che ha sancito la convivenza dell'Assemblea e del Parlamento. I membri di quest'ultimo, che avevano inutilmente definito l'Assemblea "fraudolenta" e contraria alla Costituzione del 1999, hanno dunque deciso di disertare le urne a maggio, esortando la popolazione a fare lo stesso.
Migliaia di persone si erano riversate per le strade di Caracas, scontrandosi con la Bolivarian National Guard con un bilancio di oltre 120 vittime.