Economia
June 07 2018
Nel 2015, la banca centrale del Venezuelaha smesso di fornire dati sull’andamento dell’inflazione, ma Steve Hanke, professore di economia applicata alla John Hopkins University misura puntualmente l’andamento dei prezzi utilizzando la teoria della parità del potere di acquisto. Come riferisce Forbes, il professor Hanke ha scoperto che i prezzi raddoppiano ogni 29 giorni e, alla fine del mese di maggio, l’iper-inflazione venezuelana ha raggiunto quota 27.364%.
Le cattive notizie non sono finite: il Pil del paese, infatti, rischia di contrarsi a doppia cifra per il terzo anno consecutivo. Il prodotto interno lordo ha perso il 16% nel 2016, il 14% nel 2017 e dovrebbe arrivare a -15% quest’anno. Il collasso economico si è tradotto in un’emergenza umanitaria, con oltre 600mila persone che - dicono i dati ufficiali - hanno lasciato le loro case, cercando rifugio nei paesi limitrofi. L'emigrazione non accenna a rallentare, tanto che il Brasile ha dichiarato lo stato di emergenza. Mentre il livello di povertà del paese continua a crescere, il tasso di omicidi in Venezuela si attesta al secondo posto nel mondo.
Il tracollo socio-economico avviene a dispetto del fatto che il Venezuela possieda le più grandi riserve di petrolio del mondo e i proventi del greggio rappresentano il 95% dei ricavi da esportazione. Fino alla morte di Chávez avvenuta nel 2013, il petrolio ha permesso al governo di finanziare generosi programmi di assistenza sociale per ridurre la povertà e l’ineguaglianza. E’ stato con il calo del prezzo del greggio del 2014, racconta Bbc, che il governo Maduro ha introdotto dei tagli nel programma assistenziale e, allo stesso tempo, per cercare di contrastare l’aumento dei prodotti di prima necessità, ha imposto i prezzi per legge. Questa manovra, in realtà, ha spinto fuori dal mercato molti produttori accelerando la spirale della scarsità, ma anche la politica di controllo della valuta estera (per poter acquistare dollari occorre il via libera delle agenzie governative) ha contribuito alla crescita del mercato nero. L’inflazione è ormai fuori controllo, complici l’insolvenza sui bond che ha spinto lo stato a stampare moneta e l’aumento dei salari minimi introdotti nel tentativo di riguadagnare popolarità nelle fasce più povere della popolazione.
Adesso che i prezzi del greggio hanno ricominciato a correre, le casse dello stato potrebbero beneficiare di una nuova iniezione di risorse, ma la mancanza di investimenti in infrastrutture degli ultimi anni hanno ridotto la capacità produttiva di Pdvsa, la società petrolifera di proprietà dello stato. Caracas, inoltre, è sempre più isolata: molte delle persone che hanno lasciato il paese, infatti, sono cervelli in fuga, ma anche l’atteggiamento ostile nei confronti dell’iniziativa privata ha alienato gli investitori stranieri. Al conto, infine, si aggiungono le sanzioni che Washington ha imposto al paese nel tentativo di fermare la nuova valuta digitale (il Petro) voluta da Maduro per aggirare le sanzioni e nascondere la reale situazione economica del paese.
La spirale economica negativa non accenna dunque a rallentare, ma un sollievo alla crisi potrebbe arrivare da lontano: la Cina, infatti, è il più grande creditore del paese e non ha mai fatto mistero dell’interesse nelle riserve di petrolio del Venezuela che, in cambio, potrebbe adottare il renminbi come valuta. Un accordo che potrebbe interessare molto a Pechino e non solo in termini energetici, perché trasformerebbe il paese in una roccaforte cinese nell’America Latina e un nuovo partner nel progetto “One belt, one Road”.
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