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April 14 2017
Antonio Guterres è dal 1 gennaio 2017 il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Definirlo "nuovo" ancora oggi non ha senso. Quello di capo dell’ONU è un incarico che non contempla una fase di rodaggio. È un ruolo che potremmo definire “zero day”: perché presuppone consapevolezza e carisma dal primo minuto di mandato.
Eppure, se si potesse commissionare un sondaggio su scala globale, l’opinione pubblica cadrebbe dalle nuvole di fronte al suo nome. Proprio oggi che gli scenari diplomatici mondiali sono labili e le crisi regionali si strappano a vicenda il primato dell’escalation: Siria, Corea del Nord, Ucraina e, non ultima, la super bomba sganciata ieri dal Pentagono in Afghanistan.
Per approfondire:
--> Le ultime vicende in Siria
--> A che punto siamo in Ucraina
--> La situazione in Corea del Nord
MOAB da scacco all’ONU
Il più potente ordigno bellico dopo la bomba atomica per combattere 600, forse 800 jihadisti? Questo il dato che emerge dal briefing del Pentagono. Il significato della bomba è dunque simbolico, ecco perché chiama ancora più in causa la figura del garante del diritto internazionale, il Segretario Generale.
Prima di MOAB, la flotta inviata da Trump verso la Corea del Nord, come l’attacco missilistico americano di rappresaglia contro Assad, avevano di fatto palesemente contraddetto il discorso d’insediamento di Guterres, che si riassume nello slogan: fare del 2017 l’anno della pace. L’inizio è pessimo.
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Le recenti scelte di Trump contengono, oltre al dato militare strategico, anche una clamorosa caratura simbolica, che va ben oltre i rapporti di forza in seno al Consiglio di Sicurezza.
Ora, proprio perché Consiglio di Sicurezza e Segretario Generale sono due cose diverse e con due mission diverse, il silenzio di Antonio Guterres appare sconcertante. Non è questione di forme, né di protocollo, ma una dichiarazione o un richiamo, per quanto retorico, ai valori del dialogo e del perseguimento della pace è il minimo che in questo momento ci si possa attendere da lui.
La Barriera Corallina
Uno degli ultimi post social di Guterres, via Twitter, in data 10 aprile, perora la causa della Barriera Corallina: “we must act now”, ci esorta accorato. Ne siamo consapevoli, ma forse il momento richiede un cambio di passo, una dose di coraggio, e una maggiore aderenza alla veste, che di fatto incarna la più alta carica diplomatica mondiale.
Scientists say time is running out for the Great Barrier Reef. We must act now to curb climate change and preserve this natural wonder. pic.twitter.com/NpSmZX8Dbm
António Guterres (@antonioguterres) 10 aprile 2017
Se è vero che il Segretario Generale non può esser misurato per il tenore di un post, è altrettanto vero che può indire conferenza stampa o rilasciare dichiarazione ufficiali tramite il suo staff; così fece nel settembre 2016 il predecessore Ban Ki-moon.
E lo fece, come spesso gli accadeva, dando un input (per alcuni un’ingerenza?) al Consiglio di Sicurezza in procinto di riunirsi per la crisi siriana e, nel dettaglio, per i frequenti “errori” che investivano ospedali e medici impegnati al fronte, qualificando questi episodi senza mezzi termini come crimini di guerra.
La sfida globale dei leader muscolari
Se è vero che Stati Uniti, Russia, Egitto, Turchia, Corea del Nord e Siria - ma non dimentichiamo ad altre latitudini Zimbabwe, Venezuela e Sudan - esprimono leader che tendono ad esaltare la loro immagine di decisionisti muscolari, mai come oggi c’è bisogno di un Segretario Generale capace di raccogliere la sfida, di offrire un controcanto alle sirene di guerra, di dare insomma voce e rappresentanza alla preoccupazione diffusa in larga parte delle opinione pubbliche nazionali rispetto alle scelte spesso irresponsabili dei loro leader, eletti e non eletti.