(Antonio Lopez)
Italia

La Verna e la foresta di San Francesco

Le antiche biografie raccontano che Francesco, all’età di 42 anni circa, nell’estate del 1224 -probabilmente il 17 settembre- in un momento di crisi umana e spirituale, si ritirò per le sue preghiere sul monte della Verna nel Casentino, territorio montano nell’attuale provincia di Arezzo. A distanza di secoli, i luoghi frequentati dal santo destano ancora emozione e stupore a chi li vede per la loro imponenza e la loro bellezza.

Antonio Lopez, pugliese di Margherita di Savoia, classe 1957, vive sulle Colline fiorentine. Giornalista professionista, fotoreporter, coautore televisivo e di documentari, storica firma di Airone di cui è stato redattore dal 1989 al 2021, continua a fare della divulgazione scientifica e della saggistica ambientale una professione e una missione.

Otto secoli fa, in un angolo dell’Appennino toscano, la storia della cristianità cambiò per sempre…

«San Francesco ricevette le stimmate, un evento straordinario che ha segnato la storia della spiritualità cristiana. Le antiche biografie raccontano che il fraticello d’Assisi all’età di 42 anni, nell’estate del 1224, probabilmente il 17 settembre, in un momento di crisi umana e spirituale, si ritirò per le sue preghiere sul monte della Verna nel Casentino, territorio montano nell’attuale provincia di Arezzo. A distanza di secoli, i luoghi frequentati dal santo destano ancora emozione e stupore a chi li vede per la loro imponenza e la loro bellezza».

Il monte della Verna sorprende già da lontano.

«Lo fa per la curiosa forma della sua montagna, che appare appena si supera il passo della Consuma e si risale il verde Casentino provenienti da Firenze. La gigantesca rupe che è il monte Penna, alto 1.283 metri, è la sua vetta e ospita la cittadella francescana. È una strana montagna che somiglia al dente della lama di una sega, tanto è acuminata, tanto è verticale uno dei suoi versanti. Il santuario ti appare come una visione incantata, abbarbicato come un nido d'aquila sulla scogliera delle Stimmate, lo strapiombo roccioso che si ammira, mentre si risale la tortuosa strada che tra le querce e i faggi secolari da Bibbiena s’inerpica in direzione di Chiusi».

È una visione che ruba il fiato...

«Una visione antica di una montagna sacra. Una visione che Dante Alighieri racconta mirabilmente nella Divina Commedia in una nota terzina del canto XI del Paradiso: “Nel crudo sasso intra Tevero e Arno/ da Cristo prese l’ultimo sigillo,/ che le sue membra du’anni portarno”; difatti questa rupe troneggia tra i fiumi Tevere e Arno e le loro valli iniziali, e il santo morì due anni dopo aver ricevuto le stigmate, ad Assisi il 3 ottobre del 1226».

Il monte ha una storia importante.

«Fu donato a Francesco nel 1213 da Orlando Catani, conte di Chiusi, che trovò luce nelle parole del santo, e lo offrì, a lui e ai suoi compagni, per salute della sua anima. Oggi l'importante complesso monumentale (santuario, monte e foresta) è visitato ogni anno da circa un milione di pellegrini. Basilica, chiese e cappelle, biblioteche, refettori, foresterie e luoghi per gli incontri, museo, sviluppano oltre un ettaro di tetti di tegole e garantiscono l’ospitalità a 200 persone, con cellette e sale date in gestione ai pellegrini. Il piazzale del Quadrante, prende il nome dalla meridiana incisa sul campanile della Basilica, “Se il sol mi guarda, le ore ti mostro”, è il riferimento principale della struttura».

L’itinerario di avvicinamento è immerso nella natura.

«Per una strada selciata si arriva alla Cappella degli uccelli, la costruzione è del Seicento e ricorda la gigantesca quercia su cui si radunarono i volatili della foresta per accogliere Francesco che saliva alla Verna, il loro battere d’ali in segno di festa fece dire al fraticello di Assisi: “Al nostro Signore Gesù Cristo piace che abitiamo questo luogo solitario”».

Per non parlare del complesso architettonico.

«La chiesa di Santa Maria degli Angeli, la più antica del santuario e voluta dal santo in seguito all’apparizione della Vergine, la Basilica, le 14 cappelle, una cappelletta, il corridoio delle Stimmate, vantano una delle più imponenti collezioni di terracotte invetriate di Andrea della Robbia, artista toscano vissuto tra il 1435 e il 1528, e della sua scuola (Natività, Deposizione, Ascensione, Annunciazione, Crocifissione le principali) e c’è una ragione: ci troviamo a 1.128 metri sul livello del mare e d’inverno si toccano anche i 15 gradi sotto zero; l’umidità dei muri e le condizioni ambientali sono impossibili per qualsiasi affresco».

L'ultima meraviglia di questo luogo di culto è la foresta che lo circonda.

«Un bosco frequentato dal santo che ci ha insegnato ad amare la natura e che ai suoi fratelli diceva: “Piantare verdura che serva per i frati, e anche verdura che serva per la bellezza, erbe odorifere, e poi ancora di lasciare delle fasce in cui i fratelli fiori possono crescere come piace a loro, come vuole il buon Dio”. E così per secoli i tagli dei frati sono stati saltuari, volti a eliminare le piante secche e con limitate ceduazioni nelle aree più accessibili: e il bosco si è ben mantenuto, vivo e rigoglioso, nonostante le guerre e le carestie sopportate».

Oggi è uno dei gioielli ambientali più preziosi e protetti dal Parco nazionale delle Foreste Casentinesi.

«Si tratta dell’area che protegge quel tratto d'Appennino a cavallo tra l'alta valle del fiume Arno, tra Firenze e Arezzo, e la ruvida Romagna di Forlì e Cesena. Si tratta di uno dei parchi nazionali più belli d'Italia, dove in 36.426 ettari di dorsale appenninica protetta, con l’85 per cento di territorio coperto di boschi, ti sorprendono giganteschi abeti che sfidano il cielo. E castagni, frassini, pioppi e faggi dell’età di Matusalemme che intorno a pievi e monasteri, castelli e borghi medievali, affondano le robuste radici coperte di morbide cotiche di muschio nella terra scura di montagna».

Per non parlare delle immagini dantesche presenti nell’area…

«Qui, tra rumoreggianti ruscelli e salti d’acqua (come la cascata dell'Acquacheta, alta 70 metri, la cui immagine fu usata da Dante Alighieri nel canto XVI dell'Inferno della Divina Commedia per descrivere il rimbombare assordante del Flegetonte, il fiume degli inferi), si respirano le fragranze delle fioriture delle erbe selvatiche e dei profumi della foresta. La più rigogliosa dell’Appennino. Un orizzonte verde che da rifugio a popolazioni di cervi, caprioli, daini, ad aquile solitarie e a famiglie di lupi».

Il bosco di San Francesco è uno dei gioielli più preziosi del parco.

«Ancora si incontrano angoli vergini, mai manomessi dall’uomo, come quei 6-8 ettari sopra la paleofrana della cima del monte Penna. La foresta della Verna seppur piccola offre una grande varietà di specie arboree, tra cui faggi, castagni, querce e abeti che formano un meraviglioso mosaico di colori e profumi: in appena 187,5 ettari di superficie ci sono 570 specie vegetali diverse con oltre 300 alberi secolari che sfiorano i 40 metri di altezza. Questi alberi secolari creano un ambiente unico, caratterizzato da un’atmosfera tranquilla e avvolgente, e tra di essi l’abete bianco “Carlo Acutis” una pianta ultra secolare che con i suoi 51,85 metri di altezza è l’albero autoctono più alto d’Italia».

Un bosco antico che si presta a una bella escursione a piedi.

«Il tragitto è il sentiero che dal santuario francescano sale al monte Penna e ne costeggia l’aguzza dorsale. È lungo 3 chilometri circa, non presenta grandi difficoltà e si percorre in poco più di un’ora con un abbigliamento da mezza montagna. Il dislivello da superare in salita è di 164 metri, e il punto più alto da raggiungere è la vetta del monte, alta 1.284 metri».

Alberi che guardano il cielo!

«Quasi a contemplarlo, perché come diceva Lucio Anneo Seneca, oratore raffinato e autore tra i più grandi della letteratura latina, raccontando il legame, semplice ma forte, che esiste tra natura e spiritualità: “Quando ti trovi in un bosco di antichi alberi, eccezionalmente alti, in cui rami, intrecciandosi, impediscono la vista del cielo, la grande altezza del bosco e il mistero del luogo, insieme con un senso di paura, risvegliano in te l'idea di un dio”. E non lo scordi più».

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