ESA/Hubble & NASA
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Viaggio nella Via Lattea

Quello che vedevano di notte le generazioni prima della nostra era uno spettacolo sublime. Ogni cultura vi aveva dato il suo nome: per i Greci era il “Galaxias Kyklos” (il cerchio di latte), per i Romani la “Via Lactea”, per i cinesi il “Fiume Argentato”.

Oggi, quella lunga striscia di stelle, talmente fitte da non poter essere distinte a occhio nudo, appare solo a quei fortunati che riescono a sfuggire alla cappa d’inquinamento luminoso che avvolge i nostri cieli. Dal deserto del Sahara a quello dell’Atacama fino alle zone meno accessibili dell’emisfero sud, gli appassionati del cielo aspettano il suo sorgere per immortalarla con le loro macchine fotografiche.

In realtà, quella striscia di stelle è solo una parte della Via Lattea, il nome ora riservato all’intera nostra galassia. Quest’ultima va immaginata come un disco a spirale con un nucleo dal quale si diramano alcuni bracci, in uno dei quali è posizionato il Sole. Il motivo per il quale vediamo quella striscia luminosa è che dalla nostra posizione stiamo guardando parallelamente al piano del disco, dove la densità di stelle è più alta.

Uno studio appena uscito su Astronomy & Astrophysics fornisce la prima mappa tridimensionale della sua distribuzione. Si tratta della più dettagliata misura delle distanze di circa 150 milioni di stelle tra noi e il centro della galassia, tra le quali anche quelle molto vecchie e dunque vicine alle regioni più interne della galassia.

«Le distanze che erano state calcolate in base ai dati del satellite Gaia, lanciato nel 2013, riguardavano solo stelle con una misura esatta della parallasse, cioè fino a circa 3-6 anni luce da noi. Per andare più in profondità e includere stelle vicino al centro della galassia, abbiamo combinato quei dati con osservazioni aggiuntive nell’infrarosso e nell’ottico» dice Cristina Chiappini, coautrice dello studio e ricercatrice al Leibniz-Institut für Astrophysik Potsdam (Aip) «In questo modo siamo riusciti a “vedere” quello che era solo ipotizzato, ovvero la presenza di una barra densa di stelle che attraversa la zona centrale della galassia. Ora conosciamo meglio di prima la configurazione della Via Lattea nella zona più interna, come se avessimo messo a fuoco il suo cuore».

La barra si estende per circa 27mila anni luce ed è composta da stelle vecchissime. Sono stelle che sono sorte subito dopo l’inizio dell’universo quando la nostra galassia era ancora neonata. Se immaginiamo una linea ideale che va dal Sole al centro della Via Lattea, la barra forma con questa un angolo di circa 30 gradi, anche se il suo valore esatto non è conosciuto.

Chi ha la fortuna di assistere allo spettacolo della Via Lattea può immaginare di stare guardando verso il nucleo, attraversato dalla barra ad alta densità di stelle. Se però l’ipotetico spettatore si chiedesse come questa barra si è formata esattamente, allora non troverebbe risposta in nessun manuale di astrofisica: «Ci sono molte cose che ancora non sappiamo: quando si sono formate le stelle all’interno della barra? Quante di queste c’erano prima che si formasse e vi sono rimaste intrappolate? Il nostro Sole dall’interno della galassia? Per saperne di più occorre scavare nel lontano passato alla ricerca delle caratteristiche chimiche e cinetiche delle stelle più antiche» aggiunge Chiappini.

A partire dal 2021, il progetto Milky Way Disk and Bulge Low-Resolution Survey, coordinato da Chiappini con gli astrofisici Ivan Minchev ed Else Starkenburg, permetterà lo sviluppo di un modello esplicativo più preciso della formazione ed evoluzione della galassia basato sulla conoscenza delle orbite, della chimica e delle età delle stelle. Determinare colore e luminosità di un sempre maggiore numero di stelle, e con un’esattezza che tenga conto della polvere interstellare in cui sono immerse, sarà cruciale: da queste informazioni si deducono le età delle stelle e alcuni dettagli sulla loro nascita.

In un certo senso, gli astrofisici indagano la storia della galassia come gli archeologi la storia umana. Dall’età, dalla composizione e della cinematica delle stelle traggono importanti indizi, proprio come gli archeologi dalle caratteristiche dei loro ritrovamenti. Per esempio, qualche anno fa, i dati di Gaia permisero di concludere che quando l’universo aveva circa quattro miliardi di anni la nostra Via Lattea, ancora in uno stato primordiale, si scontrò con una piccola galassia: i frammenti prodotti da quello scontro apocalittico formano una popolazione di stelle blu sulla cui esistenza si era congetturato per decenni.

La parte più esterna della nostra galassia va immaginata come composta di due bracci maggiori, quello di Perseo e quello Scudo-Croce, e da due bracci complementari, quello del Cigno e quello del Sagittario, tutte diramazioni del nucleo centrale. Sembra che il Braccio di Orione, quello in cui si trova il nostro Sistema Solare, sia un’ulteriore diramazione del braccio del Sagittario.

La maggior parte delle stelle che vediamo nel cielo, in direzioni diverse da quella parallela al disco, appartengono al Braccio di Orione, una zona dove possono trovarsi altri pianeti capaci di ospitare la vita, come il Proxima Centauri B, un pianeta che orbita intorno a Proxima Centauri e che è visibile dall’Europa. Il sistema solare ruota attorno al centro della Via Lattea con una velocità di circa 220 Km al secondo e impiega un tempo di circa 250 milioni di anni per completare un giro intorno al centro.

Se consideriamo che la nostra specie Homo sapiens è sorta sulla Terra circa duecentomila anni fa, possiamo stimare che in questo lasso di tempo la Terra ha effettuato otto millesimi di giro.

Gli astronomi calcolano che il sistema solare abbia compiuto già circa venticinque giri intorno al centro della galassia, un lasso di tempo in cui la vita sulla Terra era già presente. I sei milioni di anni circa che ci separano da quel giorno in cui la specie di ominini denominata Orrorin per la prima volta camminò in posizione eretta sono poca cosa in confronto a questi ordini di grandezza.

Alcuni giorni fa un gruppo di ricercatori polacchi, inglesi e americani hanno pubblicato su Science una mappa della parte giovane della galassia e dunque della parte che comprende i bracci a spirale. Il lorostudio si basa su dati riguardanti le Cefeidi, una classe di stelle molto giovani con masse da quattro a venti volte quelle del Sole.

Uno dei fatti più sorprendenti emersi è che la Via Lattea non ha proprio la forma di un disco piatto ma presenta una specie di curvatura: approssimativamente nel punto in cui si trova il sistema solare comincia a incurvarsi verso sopra per poi ridiscendere verso sotto. Secondo gli autori dello studio questa specie di gobba sarebbe stata causata dalle interazioni con altre galassie e noi la potremmo “vedere” molto più chiaramente se fossimo in una posizione del disco più centrale.

La nostra Via Lattea è infatti parte del Gruppo Locale, formato da una settantina di altre galassie, a sua volta parte del Superammasso Virgo dal diametro di circa 200 milioni di anni luce, a sua volta parte di una struttura più grande chiamato Superammasso Lianiakea costituito da circa 100mila galassie per un diametro di almeno cinquecento milioni di anni luce. E poi chi lo sa…

Noi abbiamo un’esperienza limitata dell’universo: vediamo solo quella parte i cui segnali luminosi hanno avuto il tempo di giungere fino a noi dai minuti successivi all’espansione iniziale dopo Big Bang. Il resto del Cosmo ci è assolutamente sconosciuto. Qualcuno potrebbe pure congetturare che ciò che vediamo non è rappresentativo dell’intero universo. E chi potrebbe contraddirlo?


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