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March 01 2016
Capita a volte di trovarsi per le mani degli oggetti non identificati in forma di libro. È il caso di Geek sublime di Vikram Chandra, pubblicato dalla neonata Egg Edizioni. In parte saggio e in parte memoir, il libro mette a sistema la grammatica del sanscrito e l’estetica digitale, la poesia vedica e il romanzo modernista, la storia dell’informatica occidentale e le dinamiche postcolonialiste. Il risultato è un viaggio vertiginoso ed eccentrico alla scoperta della bellezza del codice informatico.
Come nasce uno scrittore
Prima tappa, la formazione di uno scrittore. Nato e cresciuto in India, l’autore approda negli Stati Uniti per seguire la sua vocazione letteraria, innamorato tanto del romanzo modernista occidentale quanto dell’epica tradizionale del suo paese. Studia scrittura creativa, scrive, per mantenersi lavora come programmatore part-time. Nel frattempo riflette sulla sua doppia identità: scrittore di notte, informatico di giorno. Scopre che il crudo determinismo del codice è un gradito sollievo dalle ambiguità della letteratura. “Una parte fondamentale dell’ideologia colonialista” scrive, “si basava sull’assunto che i modelli narrativi indiani fossero primitivi, o infantili, o degenerati, e che le norme estetiche occidentali fossero più eleganti e civilizzate (…) Volevo scrivere un libro che fin dalla forma incarnasse una resistenza contro questa storiella preconfezionata sulla cultura”. Quel libro sarà Terra rossa, pioggia scrosciante, un grande affresco storico in cui il modello del romanzo occidentale incontra l’epica dei cicli tradizionali della sua terra.
Cos'è il postmoderno?
Un romanzo antico eppure postmoderno, in cui la consapevolezza strutturale si mescola alla genuina passione per le storie e alla volontà di giocare con la tradizione. Un approccio, secondo Chandra, valido tanto in letteratura quanto nell’ambito della programmazione: “Spesso la via per creare una cosa stupenda è apportare lievi modifiche a qualcosa che già esiste, o combinare idee preesistenti in maniera leggermente diversa. Bisognerebbe concepire i programmi man mano che li si scrive, proprio come fanno gli scrittori e i pittori e gli architetti”.
Artisti
Proprio come gli scrittori, i programmatori si considerano artisti: anche loro creano oggetti complessi, e non si preoccupano solo della funzionalità ma anche dell’estetica. Esiste persino un canone promosso dalle discussioni fra i programmatori e fissato in vere e proprie antologie. Anche il codice infatti può aspirare all’eleganza, come le equazioni in fisica e matematica. Uno stile di programmazione pulito, semplice, che impegna al minimo le risorse della macchina per operare con efficienza è quello a cui un vero programmatore dovrebbe aspirare. Niente polvere sotto il tappeto: “se si guarda dentro un bel programma, si scopre che sono belle anche quelle parti che nessuno avrà mai modo di vedere”.
Sanscrito digitale
La stessa bellezza del codice Vikram Chandra la ritrova nella grammatica sanscrita. Una lingua nobile, altamente formalizzata, capace di coniugare l’eccellenza della logica con il massimo della flessibilità. Le pagine che dedica al parallelismo fra i due linguaggi sono fra le più affascinanti di tutto il libro. Più che una vera teoria si tratta di una fertile fascinazione. L’autore lascia che fra le pagine balenino orizzonti identici di mondi lontani, sprazzi di significato che si accendono per poi tornare nell’ombra, fuori della nostra portata.
Come una serie TV
Dai voli pindarici dell’alta speculazione formale si torna poi bruscamente alla concretezza della storia. Perché in occidente l’informatica è un campo quasi esclusivamente maschile? La ragione non ha niente a che vedere con la distribuzione delle gonadi ma con le caratteristiche industriali, scolastiche e culturali dell’America degli anni ’50. Erano donne le prime programmatrici della storia, per quanto considerate poco più che centraliniste specializzate. Come si è giunti allo stereotipo attuale dell’informatico maschio, trasandato, nerd, affetto da machismo intellettuale e lievemente autistico, è una storia da serie TV (un buon esempio è la bellissima Alt and catch fire). Così come meriterebbe una trasposizione televisiva la storia del rilancio postcoloniale dell’economia indiana basato sugli Istituti di Tecnologia: un grande epos di politica e ricerca che tra mille contraddizioni ha portato una cultura millenaria nel futuro, lasciando indietro però milioni e milioni di persone.
Un grande libro imperfetto
Geek Sublime di Vikram Chandra affronta argomenti estremamente distanti fra loro ma tutti uniti da una doppia suggestione: da una parte, la sottile bellezza di costruzioni complesse e artificiose come i linguaggi formalizzati (dall’informatica, alla grammatica, al design); dall’altra, il rischio di dimenticare l’artificiosità di costruzioni altrettanto complesse come il discorso sui generi (il caso della presenza femminile nel campo dell’informatica) e sulle culture (in particolare quello sguardo postcoloniale ancora così cieco). L’autore non cerca né una sistemazione né una conciliazione, ma si limita e tenere assieme -a partire dalla sua esperienza personale- tutto ciò che lui è in un libro umanamente, meravigliosamente imperfetto, che brilla di quella bellezza amorfa che è l’esatto contrario della geometria rigorosa del diamante.