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August 11 2024
Il maltrattamento di animali, soprattutto se a opera di minori, può rappresentare un fenomeno predittivo di futuri comportamenti devianti o criminali. In quest’ottica la crudeltà sugli animali non deve essere considerata come un fenomeno isolato, ma un anello, una parte integrante della violenza interpersonale. La crescente consapevolezza scientifica anglosassone di come la crudeltà su animali sia tirocinio di crudeltà verso gli uomini, dagli anni ‘60 in poi ha condotto molti studiosi a focalizzare la ricerca sulle implicazioni psicologiche di tale fenomeno. Gli studi convergono nel concludere che tale crudeltà debba essere interpretata come sintomo di una situazione esistenziale patogena in chi commette il maltrattamento. Se commesso da bambini o adolescenti si fa riferimento ad una situazione familiare o ambientale caratterizzata da abusi fisici, psicologici, sessuali, incuria, discuria, ipercura o da queste forme di violenza insieme. Risulterebbe inoltre essere un segnale predittivo relativo a condotte antisociali, devianti o criminali come atti di distruzione (vandalismo e/o piromania), aggressioni (deliberata crudeltà psicologica e/o fisica verso le persone), furti caratterizzati dalla presenza di una vittima (borseggio, estorsione, rapina a mano armata), rapimento, violenza sessuale, assalto con particolare riguardo al fenomeno degli Spree Killer, omicidio con particolare riguardo al fenomeno dei Serial Killer.
Una ricerca basata sulla teoria dell’apprendimento di Wright e Hensley (2003) dal titolo “From Animal Cruelty to Serial Murder. Applying the GraduationHypothesis”, applica al maltrattamento e/o uccisione di animali l’ipotesi di gradualità o escalation. Questa ricerca viene condotta nel 2003 su cinque assassini seriali, e mira ad evidenziare come il fenomeno della crudeltà nei confronti di animali agita nell’infanzia e/o durante l’adolescenza possa subire la spinta di un’escalation al cui apice possiamo trovare anche l’omicidio e il possibile sviluppo di una personalità serial killer. In accordo con Ascione e Lockwood (2001) l’ipotesi dell’escalation o gradualità sostiene che la presenza di atti crudeli nei confronti degli animali nel periodo dello sviluppo sia un segnale predittivo di potenziale violenza interpersonale agita successivamente ed in particolare in età adulta.
Altri soggetti, con tendenza a comportamenti violenti su base impulsiva, tendono ad attaccare una vasta gamma di obiettivi -inclusi esseri umani, animali e oggetti- in risposta ad emozioni negative quali frustrazione e rabbia.
Federico Boaron, psichiatra che da anni si occupa della correlazione fra crudeltà verso gli animali e crimini violenti, afferma che «ci sono profili di maltrattatori differenti: sadico e calcolatore, impulsivo e discontrollato; le due motivazioni -sadismo e impulsività- possono comunque coesistere nel medesimo individuo. Questo è particolarmente drammatico nei casi di violenza domestica, dove è frequente l’uso di minacce al pet come arma di ricatto, come strumento di “controllo coercitivo”: una donna maltrattata su quattro rinuncia a mettersi al sicuro pur di proteggere il proprio cane o il proprio gatto dalle ritorsioni del compagno abusante.
La crudeltà sugli animali non deve essere considerata come un fenomeno isolato, ma come un anello, una parte integrante della violenza interpersonale, un marker di pericolosità sociale e, contemporaneamente, un campanello di allarme di possibili situazioni di abuso. Spesso infatti i maltrattatori sono stati loro stessi vittime di abusi, e hanno interiorizzato quello che hanno subito, fino a trasformarsi da vittime in carnefici. Interrompere questo “ciclo della violenza” è dunque un obiettivo di fondamentale importanza per proteggere tutta la società. È inoltre ancora da comprendere a fondo quale sia il ruolo dei social sui comportamenti violenti, che sempre più spesso mostrano crudeltà, tremende ed insensate, rappresentate come scherzi o bravate, nonostante le tragiche conseguenze per le vittime: ricordiamoci del gattino lanciato da un ponte per postare il video sui social, solo qualche settimana fa. Abbiamo già numerosi indizi di come i social contribuiscano ad alterare alcune funzioni cognitive, ad esempio a ridurre la capacità di attenzione e quella di ragionamento critico. Dobbiamo oggi capire meglio quale influsso abbiano sui comportamenti violenti».
Nel nostro Paese, la consapevolezza del “Link”, la correlazione fra maltrattamento degli animali e comportamenti criminali, è stata diffusa da Francesca Sorcinelli, presidente dell’associazione Link-Italia, che da anni promuove studio, divulgazione e formazione specialistica su questo argomento.