La violenza senza fine della campagna elettorale

Una delle cose più tristi di questa campagna elettorale è il doppiopesismo sulla violenza politica. In linea teorica ci sarebbe piaciuto vedere la classe politica unita almeno nel condannare certi gesti, a prescindere dai soggetti che li mettono in atto. E’ successo il contrario: la violenza si denuncia a gran voce solo quando conviene elettoralmente. Se invece ad essere colpiti sono gli avversari, diventa tutto più sfumato, e più rapidamente archiviato.

Solo per citare l’ultimo esempio: per quella che è fondamentalmente una cretinata nostalgica, cioè il braccio teso dell’assessore lombardo Romano La Russa, è stato montato uno scandalo nazionale. Per carità, certi comportamenti vanno indubbiamente .censurati, ma se parliamo di violenza sarebbe anche il caso di occuparsi delle decine di dichiarazioni social che augurano una morte dolorosa a Giorgia Meloni. Non le cito perché non si fa pubblicità agli imbecilli. Ma se mettiamo la follia sul piatto della bilancia, forse sarebbe il caso di indignarsi anche per la rabbia montante ed esplicita su certi canali pubblici di comunicazione.

Altro esempio. In queste ore sui giornali circola indignazione per il fatto che la polizia abbia caricato a Palermo un gruppo di contestatori in un comizio di Fratelli d’Italia. Si grida al poliziotto picchiatore (che ha il dovere di garantire l’ordine pubblico e il corretto svolgimento delle manifestazioni organizzate). Ma d’altro canto nessuno stigmatizza con il giusto vigore i tentativi di destabilizzazione degli ultimi giorni ai danni del partito: a Bologna un gazebo è stato assaltato al grido di “Vi appenderemo tutti, mafiosi”. A Milano hanno strappato i manifesti del partito dalle postazioni. A Mestre è comparsa una stella a cinque punte su un muro, con la scritta “Giorgia Meloni preparati”: eppure, per questi episodi, non sono circolati grandissimi attestati di solidarietà, né sul piano politico né sulla grande stampa. Qualche giorno fa a Carrara militanti leghisti sono stati aggrediti e picchiati con delle aste di bandiera, a quanto pare da un gruppo di anarchici: ma non abbiamo letto grandissime dichiarazioni di vicinanza da parte del mondo politico, né sono state espresse profonde inquietudini da parte degli intellettuali “à la Saviano”, solitamente attentissimi a denunciare qualsiasi tipo di sconfinamento democratico.

Ogni tipo di violenza politica è ingiustificata. Ma da chi sull’allarme fascismo ha impostato l’intera campagna elettorale (vedremo lunedì se a ragione o a torto), ci si aspetta come minimo una sana coerenza nel condannare certi gesti, a prescindere dal colore che li caratterizza. Chi dice di lottare contro i rigurgiti di violenza politica, non può alzare la voce solo quando gli torna comodo in termini di consenso. Se ammettiamo certe ipocrisie, allora vuol dire che la violenza non è un tabù: ma solo un grimaldello per grattare qualche voto nell’urna.

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