Viaggio nella violenza omicida familiare di Ciro Palmieri
Il 19 agosto è stato rinvenuto il corpo di Ciro Palmieri, un uomo la cui denuncia di scomparsa era stata fatta dalla moglie, Monica Milita, presso la stazione dei Carabinieri di Giffoni Valle di Piana il 30 luglio. Al momento dell’esposto la donna avrebbe presentato una mano fasciata. Successivamente, la stessa, si sarebbe rivolta alla trasmissione “Chi l’ha visto?” per richiedere aiuto per la sparizione del marito. Al momento la donna e il primogenito di 20 anni sono in carcere con l’accusa di “omicidio aggravato dalla crudeltà e occultamento di cadavere”, mentre il figlio mezzano sarebbe detenuto in un istituto di pena minorile. Il terzo figlio di 11 anni avrebbe assistito all’atto omicida senza prenderne parte.
Dalle immagini acquisite dagli esperti digitali dell’Arma, in quanto le immagini delle telecamere all’interno della casa sarebbero state sovrascritte, si vedrebbe Ciro Palimeri tirare un liquido in faccia a Monica Milita la quale reagirebbe, inizialmente brandendo un bastone e tentando di aggredirlo con esso, per poi afferrare un coltello e iniziare a pugnalarlo, seguita dai figli più grandi, anch’essi utilizzando delle armi da taglio. Il corpo sarebbe stato colpito anche quando questo versava inerme a terra. I coltelli sarebbero stati sepolti in giardino, mentre il cadavere sarebbe rimasto in casa 24 ore, mutilato di una gamba e abbandonato la notte successiva all’omicidio in una gola nelle montagne nei pressi di Giffoni.
L’uccisione di Ciro Palmieri potrebbe essere descritta come un passaggio all’atto omicidiario innescato da un evento contingente che avrebbe agito da catalizzatore. Questo è quanto accadrebbe in situazioni di abusi perpetrati nel tempo. Ci troveremmo dinnanzi a un’animosità che si sarebbe protratta negli anni, alimentata dalle dinamiche disfunzionali all’interno della coppia, probabilmente di natura sopraffacente. Tali elementi avrebbero caratterizzato un perdurante conflitto in cui l’omicidio sarebbe stato precipitato da un ennesimo litigio, magari anche nato per un banale motivo di contrasto. L’omicidio di Palmieri sarebbe dunque l’epilogo ad una situazione intrafamiliare vissuta come intollerabile che avrebbe creato negli omicidi uno stato psicologico di esasperazione e di impotenza, un atto disperato di ribellione conseguente a una lunga storia di violenze subite.
Statisticamente l’omicidio del coniuge sarebbe direttamente proporzionale alla frequenza e alla gravità delle aggressioni, ragion per cui, l’uccisione del marito, avrebbe probabilmente rappresentato per la Milite l’unica via d’uscita, anche in ragione del fatto che, nel 66,7% dei casi, a differenza dell’uomo, la donna ucciderebbe con premeditazione, giungendo all’omicidio attraverso una lunga e tormentosa riflessione su una situazione che verrebbe appunto percepita senza via d’uscita. Anche la scelta dell’arma da taglio, utilizzata per la commissione del delitto, sarebbe il mezzo eletto in prevalenza dalle donne, anche in funzione della semplice accessibilità.
Quanto di particolare vi sarebbe in questo caso concernerebbe l’intervento dei figli all’interno della dinamica omicidiaria. Non si hanno elementi per delineare se, anche la prole, fosse vittima di maltrattamenti, ma, se violenza fosse stata agita dal marito nei confronti della moglie, i figli sarebbero comunque stati sottoposti a quella che viene definita come violenza assistita, ossia un esperire da parte dei minori di una qualsiasi forma di maltrattamento su altre figure per loro significative. La reazione della madre al lancio del liquido da parte del padre, potrebbe aver avuto sui figli l’effetto di fungere da moral disengagement, consentendo il passaggio all’azione di un elemento psichico, con grande probabilità sino a quel momento solo fantasticato. L’azione sarebbe divenuta quindi un atto liberatorio collettivo. Il fatto che l’accoltellamento sia andato avanti anche nel momento in cui il corpo di Palimeri fosse a terra, esanime, indicherebbe l’incapacità di interrompere la pulsione aggressiva una volta innescata, mentre il depezzamento del cadavere sarebbe stato utilizzato solo al fine di trasportare la salma in maniera più agevole. Il fatto che il corpo sia rimasto in casa per 24 ore, una volta compiuto l’atto, potrebbe essere dovuto al fatto che la famiglia si sarebbe trovata dinnanzi alla reale difficoltà data dal tentare di far sparire un cadavere.
Allo stato attuale la Milito e i figli non presenterebbero segni di pentimento, a dimostrazione del fatto che, con grande probabilità, la criminogenesi sia da rilevarsi a quanto descritto in precedenza.
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