VIta, guerre e segreti di Margherita Agnelli - prima puntata

È un autentico Crepuscolo degli.dei (presunti o autoproclamatisi tali).Comunque vada, ormai la reputazione, la tradizione, la storia, il buon nome, la perenne impunità, la potenza della (ex) «Italian Royal Family» ha subìto un durissimo colpo per la vicenda portata alla luce da Margherita Agnelli e da mesi sotto inchiesta della Procura di Torino. Senza la «protezione» preventiva di un ufficio stampa un tempo leggendario e potente (sono lontani i tempi di Alberto Nicolello, Marco Benedetto, il migliore di tutti, ed Ernesto Auci), l’immagine è stata irrimediabilmente compromessa. I tardivi comunicati degli avvocati di John Elkann, che non si firmano con nome e cognome, non suonano convincenti. Parlano di «Reiterate falsità». Sostengono che «non è mai esistito e non esiste alcun patrimonio occulto dell’eredità Agnelli». Insistono nel dire che la nonna risiedeva in Svizzera: «I fratelli Elkann, nominati dalla nonna eredi universali, hanno adempiuto a tutti gli oneri amministrativi e fiscali che spettano ai soggetti che ereditano da persone residenti all’estero, come indiscutibilmente era Marella Caracciolo». E poi, «non è vero che siano state presentate dichiarazioni fiscali integrative che hanno fatto emergere patrimoni sconosciuti al Fisco italiano». Sugli orecchini di diamanti blu di Harry Winston (valore 76 milioni di euro) finiti a Ginevra Elkann affermano:

«I gioielli di cui si parla molto a sproposito erano certamente beni di proprietà di Marella Caracciolo che ne ha disposto in vita come ha voluto». E infine l’affermazione, senza prove, che da 20 anni sta più a cuore a Jaky: «John Elkann ricopre il ruolo che gli ha assegnato il nonno, secondo uno schema successorio ricorrente da sempre nella famiglia Agnelli che ha assicurato al primo gruppo industriale italiano, uno sviluppo ed una continuità di gestione che ha tagliato il traguardo dei 125 anni». Sull’altro fronte, e in senso del tutto contrario, la Procura di Torino ha raccolto una mole impressionante di prove (email, WhatsApp, telefonate, diari), testimonianze e appunti (in primis quelli di Paola Montaldo, ex assistente di Marella e per molti anni segretaria del ceo Fiat Paolo Cantarella), documenti scoperti dalla Guardia di finanza (anche nella cantina del commercialista Gianluca Ferrero e nel locale caldaie della villa di John), investigazioni private compiute per anni a tappeto dagli 007 di Margherita. I legali parlano genericamente, ma i pm hanno in mano prove di fatti e circostanze e dimostrano estrema cautela e prudenza. Per esempio, secondo alcuni, non hanno ancora contestato (oltre alla truffa allo Stato e al concorso in frode fiscale) due altre ben più gravi ipotesi di reato: associazione a delinquere e auto riciclaggio. Panorama affronta questa vicenda giudiziario-familiare da una inedita angolazione: un «ritratto» di Margherita Agnelli, la protagonista che si tiene lontana dai riflettori, pubblicando gli stralci di un capitolo del nuovo libro di Gigi Moncalvo Agnelli,The Italian Royal Family (edito da Vallecchi Firenze) che sarà in libreria tra poche settimane.

Roberto Cattro è stato per alcuni anni il procuratore speciale in Italia di Margherita Agnelli e uno dei suoi consiglieri, con incarichi speciali. Per esempio, tenere i contatti con coloro, specie a Torino, con cui la figlia dell’Avvocato - nonostante le frequentazioni di una vita - non voleva più avere né telefonate né incontri, Temeva di trovare freddezza, distacco, critiche e non aveva voglia di raccontare la sua versione dei fatti. Riteneva comunque necessario tenere aperti i canali torinesi con persone una volta amiche che, ovviamente, non la cercavano più - anche per non inimicarsi John e Lavinia Elkann - e avevano raffreddato i rapporti fin dalla prima causa del maggio 2007 al Tribunale civile di Torino, quella della richiesta di rendiconto sul patrimonio paterno avviata contro Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfried Maron, il capo del «family office» in Svizzera. Intorno a Margherita era stato fatto il vuoto, sapeva di essere considerata una sorta di «lebbrosa» da evitare accuratamente, ma le interessava conoscere reazioni e commenti di parenti ed ex amici anche se apparentemente non dava peso a ciò si diceva di lei, men che meno specie dal «giro» della autoproclamatasi «Regina delle Madamin», Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, e dalla sgomitante Evelina Christillin sempre in cerca di interviste o passaggi tv in qualità di «compagna di scuola», ma detestata e tenuta alla larga, di Margherita.

Roberto Cattro, per avere un qualificato punto di vista lontano da pettegolezzi o miserie, interpellava la indiscussa e saggia «sovrana dei salotti», Donna Marida Recchi, una grande signora dell’impresa e della filantropia, vedova del costruttore Giuseppe Recchi, una donna che ha sempre mantenuto la classica riservatezza sabauda. Amante dell’arte e generosa benefattrice, è stata attiva fino alla sua scomparsa nel 2020 a 103 anni a causa del Covid. Nella sua bella casa della Crocetta andavano a trovarla Gianni Agnelli, Bettino Craxi e Giulio Andreotti. Conosceva di persona John Kennedy e il colonnello Gheddafi, insieme a molti altri personaggi della politica, dell’industria e della cultura mondiale. Rimasta vedova nel 1981, dopo quarant’anni di felice matrimonio, Marida aveva assunto la guida dell’impero di famiglia, intensificando la sua rete di amicizie ad altissimo livello e consentendo ai suoi figli di ingrandire un’impresa che ha costruito in tutto il mondo dighe, ponti, centrali idroelettriche e nucleari, impianti industriali, autostrade, reti metropolitane sotterranee. Era molto amica di Marella Agnelli ed entrambe guidavano l’Associazione Amici degli handicappati.

Roberto Cattro andava spesso a trovare per un caffè Donna Marida, che definiva «l’unica persona al mondo insieme alla Regina Elisabetta, che riceve a casa tenendo accanto una delle borsette rosa della sua collezione di Chanel». «Le auguro buon lavoro. Ma devo avvertirla che il suo ruolo è delicato e rischioso. È come se fosse stato ingaggiato per combattere in Vietnam…», gli aveva detto Donna Marida quando lui le comunicò l’incarico ricevuto da Margherita chiedendo consigli. Cattro aveva conquistato la fiducia di Margherita, compiendo anche delicate «missioni» presso un paio di importanti procuratori capo di due grandi città, per sondare se c’era l’intenzione di portare avanti le iniziative giudiziarie intraprese dalla figlia di Agnelli. Era anche il diplomatico trait d’union tra Margherita e Donna Marella, John e Lapo. Era anche entrato in Italian Independent, la società del secondogenito Elkann poi finita per aria, per controllare i conti e non solo. Dopo la morte di Marella, Cattro aveva realizzato un lavoro complesso: l’inventario con foto delle opere d’arte chiuse nelle residenze di cui Margherita era divenuta proprietaria, dopo la scomparsa della madre che ne era usufruttuaria. Attraverso quelle precise schede e il confronto con gli elenchi frutto delle trattative del 2004 tra le due parti, Margherita ha raccolto le prove della «sparizione» di alcune preziose opere con l’accusa ai figli Elkann di avergliele sottratte.

Il consigliere di Margherita aveva anche guidato l’ardua ricerca dei famosi lingotti d’oro del senatore Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat, accumulati a partire dagli anni Venti come corrispettivo pagato dallo Stato per le forniture non solo belliche delle due guerre mondiali. Una volta a Ginevra, aveva rischiato l’arresto nel «Ports Francs and Entrepots» - il bunker che custodisce un’enorme quantità di tesori nascosti, spesso di dubbia provenienza - il giorno in cui, con un paio di avvocati e investigatori, aveva sottoposto i responsabili della stuttura a stringenti domande sull’intestazione e il contenuto di alcuni caveaux blindati e sull’identità di coloro che figuravano come unici «custodi» autorizzati ad accedervi. La direzione del Deposito era arrivata al punto di chiamare la Gendarmeria cantonale che aveva minacciato di mandare in carcere di Champ Dollon quelle persone così documentate e curiose sull’«oro degli Agnelli». Nel corso di tali missioni. Cattro ha potuto contare su un assistente fidato e capace, Lorenzo Madia, che a un certo punto è diventato il ghost writer per il «mémoire» in cui il «consigliere speciale» voleva raccontare il suo lavoro per Margherita in modo che certi episodi non andassero perduti. Aveva affidato a Maida l’incarico di trascriverli e di consegnare a me quelle pagine. L’assistente lo ha fatto proprio per onorare quell’impegno e io, ora, trascrivo ciò che resta di quel documento dal titolo La Signora Contessa del lago dettato e riveduto da Roberto Cattro ma scritto da Roberto Maida. Eccone il testo. Colei alla quale si fa riferimento in quei capitoli è appunto Margherita Agnelli.

«È una figura strana, particolarmente strana. In lei pregi, difetti e contraddizioni si mescolano qualche volta a ritmo persino sbalorditivo e questa immagine confusa che ne deriva sta alla base della non simpatia che il grande pubblico prova per lei. In parole povere non la capiscono, ma va detto che sarebbe un’impresa assolutamente difficile per molti. In realtà, l’impatto che si ha incontrandola non è affatto negativo: non è bella, ma emana una forte personalità che i suoi tratti, molto simili a quelli del padre, rivelano. Lei lo sa e ci gioca. Conosce l’importanza del suo cognome e in virtù di questo applica un raffinato esercizio di applicazione dei metodi acquisiti in famiglia. Peccato che, probabilmente, di quei metodi abbia perso l’elenco completo e gliene siano rimaste solo alcune tracce.

Quando l’ho conosciuta, telefonicamente, fu grazie a una magnifica persona che non c’è più: Anna Sogno Arborio Mella, moglie dell’indimenticabile ambasciatore Edgardo Sogno. Anna mi fece leggere una poesia scritta da Margherita su di lei, dal titolo Gli occhi di Anna. Mi piacque: una poesia garbata, intuitiva e veritiera. Anna le voleva bene, ma va detto che lei amava quasi tutto il mondo, comunisti esclusi. Anch’io trovai Margherita piacevole e positiva. Quando, qualche anno dopo la morte di Anna Sogno incontrai nuovamente Margherita, molte vicende erano accadute, tra cui la morte di suo padre e gli interminabili litigi per dividere un’eredità che sembra non avere confini. Ovviamente la spensieratezza non apparteneva più alla forma mentis di Margherita; tuttavia, devo riconoscere che ritrovai in lei garbo e sensibilità. Almeno così mi sembrò in apparenza. Anche se è molto vero che spesso nella vita noi vediamo ciò che vogliamo vedere e che in fondo è ciò che cerchiamo. Fu così che iniziai a starle accanto e a lavorare con lei. Mi sentivo felice di farlo perché per me quella strana signora che si arrotolava da sola le sigarette seduta in una poltrona della sua grande villa di Allaman era ancora quella che aveva scritto la poesia sugli occhi di Anna Sogno. Tutte le cose strane, incomprensibili e brutte che sarebbero accadute in seguito, neppure una parte della mia mente le aveva prese per un attimo in considerazione come possibili.

Un elemento costante nella psicologia di Margherita è senz’altro il timore di essere continuamente, usando una sua espressione, «spinta da tutte le parti», con riferimento alla tendenza degli altri di abusare dei suoi mezzi finanziari. Questo, in linea di principio, non stupisce. Ricordo bene suo padre Gianni, non pochi anni fa dire ad un suo amico: «Trovo irritante quanto le persone fatichino a congedarsi da me se non hanno ottenuto qualcosa». Tuttavia, in Margherita, questo timore talvolta è eccessivo e quasi sempre non l’aiuta a compiere le scelte più opportune. Una sua nobile cugina, molto nota al grande pubblico (si tratta di Ira Fürstenberg, ndr), un giorno la cercò per incontrarla e lo fece con garbata insistenza. Spiegai a Margherita che essendo venuta a mancare Clara Agnelli, la madre di Ira, il fratello stava forse gestendo con disinvoltura l’asse ereditario e la cugina temeva probabilmente di subire un ingiusto danno. «Non mi chiederà di pagarle gli avvocati» mi interruppe Margherita, «non sono in grado di farlo. E poi non ho mai avuto con lei questo grande rapporto, non ci siamo mai frequentate, neanche da piccole per giocare insieme...».

Spiegai che, secondo me, nessuno le avrebbe chiesto di pagare nessun avvocato ma più probabilmente la cugina avrebbe chiesto se, tra le vicende che la riguardavano e quelle relative alla famiglia dell’Avvocato, esistevano eventuali analogie per capire quali comportamenti fossero più adeguati e suggeribili. Alla fine, l’incontro ci fu, cauto e un po’ diffidente. E la cugina se la cavò molto bene e intelligentemente: in un primo tempo minacciò le vie giudiziarie ma poi si guardò bene dall’intraprenderle trovando una mediazione che apparentemente soddisfaceva persino il fratello. Un termine che venne usato contro Margherita nell’oramai molto famoso processo di Torino, e che le provocò grande risentimento, fu «luciferina», con riferimento alle sue domande e considerazioni sul comportamento di vari personaggi coinvolti nella vicenda ereditaria. L’onestà intellettuale esige di sottolineare che la base dell’animo di Margherita non è tale, assolutamente no. Piuttosto parlerei di una personalità che ha subito fragorose incursioni da parte di chi le voleva nuocere. Lei ha risposto certo anche con furbizia, visibilmente incattivita, ma senza mettere in campo altre negatività o altri aspetti dannosi. Questo fatto - solo furbizia e cattiveria - come una eco tende a ripercuotersi in tante vicende che la riguardano delineando una sostanziale difficoltà: quella di capire le persone., si tratti di avvocati, collaboratori, cuochi, marinai, figli. Eravamo a febbraio del 2016 e il primo aprile John, il primogenito, avrebbe compiuto 40 anni.

Durante una passeggiata nella tenuta di Allaman, io sottolineavo il significato di quel compleanno per un giovane uomo da poco sul ponte di comando della grande nave. Le dissi che doveva fargli un regalo dal significato particolare e Margherita mi chiese se avessi qualcosa in mente. Le parlai dell’orologio da tavolo che gli ufficiali di cavalleria, nell’Ottocento, portavano con sé nelle varie campagne militari e che erano l’unico segno distintivo che arricchiva le loro tende molto sobrie: i famosi «Officier». L’idea le piacque molto. Mi disse: «Qui a Ginevra non si trova nulla, lo compri lei in Italia». Restai un po’ perplesso ma obbedii. Lo acquistai e siccome non era più corredato dalla custodia in pelle originale dell’epoca, cercai e trovai una scatola da viaggio di un notabile cinese dell’Ottocento, e confezionai il regalo. Lo portai a Ginevra e rimasi di stucco perché Margherita, entusiasta dell’oggetto, decise di cambiare destinatario. «Pietro (il quinto figlio di Margherita, il secondogenito De Pahlen, ndr) se lo merita molto di più, è sempre gentile e attento. Desidero che lo abbia lui». Provai a obiettare che il compleanno era di John ma quell’osservazione passò come un dettaglio senza importanza. In tal modo, l’Officier finì a Mosca anziché a Torino. Non ho mai capito se la sua stizza derivasse dal fatto che per la grande festa di compleanno di John a Tel Aviv non era stata nemmeno invitata, a differenza di tutti gli altri suoi figli.

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