Nel Giorno della memoria ricordiamo il Maestro Vittore Veneziani
Provate a chiedere, non dico alla gente per strada, ma nei Conservatori, almeno un nome di un musicista «vittima» del fascismo o ancor più un musicista ebreo discriminato dalle leggi razziste fasciste... Scommetto il silenzio. Anche da parte di chi insegna e che dovrebbe conoscere la storia contemporanea dei linguaggi musicali e dei musicisti.
Giornate come quelle della Memoria o eventi come quello del Teatro della Scala hanno il merito – almeno una volta l’anno – di farci recuperare la dignità della memoria. Una memoria espansa, cioè che non riguarda soltanto i professionisti di un determinato ambito culturale, ma tutti coloro che si riconoscono culturalmente cittadini.
La figura di Vittore Veneziani certamente è conosciuta a Ferrara o almeno tra i musicisti ferraresi perchè è attiva l’Associazione Corale «V. Veneziani», fondata dallo stesso Veneziani nel 1955, che il 21 gennaio 2019 nella celebrazione del Giorno della memoria, quindi ben tre anni prima dell’evento attuale della Scala, gli ha dedicato un concerto.
Il Maestro Veneziani nasce a Ferrara il 25 maggio 1878. Il padre Felice era un commerciante, un corista dilettante nella sinagoga locale, un appassionato della musica. E proietta questa sua passione nel figlio Vittore per cui lo scrive al Conservatorio Frescobaldi di Ferrara. Successivamente a Bologna studia composizione al Liceo Musicale di Bologna dove fu allievo (come Alberto Fano) di Giuseppe Martucci, un protagonista della vita musicale contemporanea, sviluppando e maturando una sensibilità ed una competenza particolare per il repertorio vocale e corale.
Come tanti musicisti di quel periodo coglie l’occasione di farsi conoscere partecipando nel 1901 al concorso indetto dal Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Lo vince con la composizione corale Adelchi, dalla celebre tragedia manzoniana. Nel 1907 assume la cattedra di canto corale presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, invitato dal direttore Ermanno Wolf-Ferrari. In questo periodo compone una interessante raccolta di liriche da camera edite nel 1910 dalla casa editrice bolognese Bongiovanni e La leggenda del lago, opera lirica su libretto dello scrittore veneto Guido Pusinich (1908-1966), andata in scena nel febbraio del 1911 alla Fenice di Venezia.
Nel 1913 risulta maestro di coro del Teatro Regio di Torino. Lasciata Torino si trasferisce a Bologna, dove alla fine del 1910 fonda i “Cantori bolognesi”, un ensemble vocale di pochi elementi con i quali affronta autori del Rinascimento italiano di cui cura anche alcune edizioni. Arturo Toscanini nel 1915 lo vuole al Teatro Dal Verme di Milano.
«Prende così inizio un nuovo e importante capitolo nella vita del Maestro ferrarese» ha scritto Gian Francesco Amoroso. «Le stagioni milanesi in quegli anni erano piuttosto nutrite: il cartellone comprendeva autori come Mozart, Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi, Wagner, Puccini, Mussorgskij e i contemporanei Wolf-Ferrari, Pizzetti, Rabaud, Giordano, Boito, Alfano, Mascagni, Riccitelli e molti altri. Indimenticate negli annali del teatro meneghino le recite di Boris Godunov e Debora e Jaele, in cui fu particolarmente elogiata la preparazione del coro. Sotto la guida del maestro Veneziani la compagine corale della Scala inizia ad avere un’identità artistica e vocale ben definita, affiancando alle produzioni operistiche concerti con pagine di compositori antichi e contemporanei. Dalle incisioni di quegli anni le voci dei coristi appaiono corpose, levigate, rarefatte e nobilitate da un alone di aurea bellezza».
Un lungo ed ampio periodo di ben 33 anni, dal 1921 al 1954, di Direzione del Coro del Teatro alla Scala interrotto dalle leggi razziali del fascismo nel 1938: anche il maestro Veneziani, come tanti musicisti ebrei, fu obbligato a lasciare il suo incarico. Si racconta che «all’indomani del suo licenziamento trovò il suo appartamento invaso di fiori da parte di chi, consapevole del suo valore artistico e umano, volle dimostrargli solidarietà e affetto».
Come si legge su Bet Magazine Mosaico, sito ufficiale della Comunità Ebraica di Milano, «a seguito di questi vergognosi provvedimenti il grande direttore d’orchestra Erich Kleiber rinunciò a dirigere il Fidelio di Ludwig van Beethoven, con queste parole: "Apprendo in questo momento che il Teatro alla Scala ha chiuso le sue porte ai vostri compatrioti israeliti. La musica è fatta per tutti, come il sole e l’aria. Là dove si nega a degli esseri umani questa fonte di consolazione così necessaria in questi tempi duri e questo soltanto perché essi appartengono a un’altra stirpe o a un’altra religione io non posso collaborare né come cristiano né come artista. Debbo di conseguenza pregarvi di considerare nullo il mio contratto, malgrado il piacere che avrei avuto di dirigere in questo magnifico teatro, che rammenta le più nobili tradizioni italiane"».
Ma la sua passione per la musica e per il canto non si estingue davanti a tanta violenza. Nell’autunno del 1941, Veneziani accetta di diventare maestro del coro delle sinagoghe di Milano (per la quale scrive gli splendidi Canti spirituali di Israele), Torino, Firenze e della scuola ebraica di via Eupili, dove insegnano tanti professori liceali e universitari allontanati dalle scuole pubbliche. Ma il pericolo di deportazione e gli eventi drammatici della seconda guerra mondiale, anche sul territorio italiano, lo costringono a rifugiarsi nel 1943 a Roveredo, nei pressi di Bellinzona, nello cantone svizzero Grigioni.
Finalmente il 25 aprile 1945 arriva la liberazione dai nazi-fascisti. Il Maestro torna a Milano e chissà quale dolore avrà provato nel vedere il Teatro alla Scala bombardato. Ma la musica farà risorgere il teatro con i concerti e con essi la vita rinnovata e libera dei cittadini milanesi e soltanto un anno dopo, l’11 maggio del 1946, il Maestro Veneziani partecipa su invito di Arturo Toscanini come Direttore del Coro al memorabile concerto per la Scala ricostruita per volontà dell’allora sindaco Antonio Greppi.
Dal 1946 fino al 1954, un anno prima della sua scomparsa, il Maestro Veneziani riprende il suo l’impareggiabile e mitico incarico di Direttore del coro del Teatro alla Scala. I melomani e i collezionisti di LP storici ricorderanno la celebre incisione di Norma che la Columbia produsse agli inizi degli anni Cinquanta sotto la direzione di Tullio Serafin alla testa dei complessi scaligeri, vede il nome di Vittore Veneziani come Maestro del Coro con Maria Callas, Ebe Stignani, Mario Filippeschi e Nicola Rossi Lemeni. Come anche la collaborazione, sempre come Maestro del Coro, con Victor De Sabata per l’incisione di Tosca con Maria Callas, Giuseppe Di Stefano e Tito Gobbi.
Vittore Veneziani muore a Ferrara il 14 gennaio 1958. Oggi che cosa resta del Maestro Veneziani? Della sua arte, molte composizioni diverse per stile, genere musicale e strumenti. Ci auguriamo che dall’evento scaligero di quest’anno cominci una risurrezione delle sue composizioni e di quelle di altri compositori vittime di quella invernale stagione del ventennio fascista e delle sue leggi razziali del 1938. Rinascita cominciata nel febbraio del 2020 nell’ambito del Festival Viktor Ullmann (https://www.festivalviktorullmann.com/ ) che ha come direttore artistico il Maestro Davide Casali e nel 2021 con l’etichetta Tactus un cd di Liriche da camera per canto e pianoforte del Maestro Veneziani eseguite dalla voce di Beatrice Palumbo e al pianoforte Gian Francesco Amoroso. Alcune di queste liriche sono rintracciabili su Youtube ( https://www.youtube.com/watch?v=LXANgkIbvNM=)..
Della sua passione musicale resta l’esempio testimoniato, nonostante tutto e oltre tutto, con una vita consacrata al canto, vero erede di una tradizione ebraica che fa del canto l’espressione più alta della preghiera e della lode a Dio che se ne compiace e la trasforma in benedizione per tutti gli uomini. Ma ci auguriamo anche che le civili istituzioni musicali e le comunità ebraiche locali contribuiscano a far risorgere dall’oblio le composizioni di musicisti ebrei contemporanei al Maestro Veneziani, musicisti come il milanese Aldo Finzi, il torinese Leone Sinigaglia, il ben noto Mario Castelnuovo-Tedesco, Vittorio Rieti (nato ad Alessandria d’Egitto), il padovano Alberto Fano, il mantovano Renzo Massarani e il fiorentino Gualtiero Volterra, i compositori romani Donato Di Veroli, Gino Modigliani, Elio Piattelli.
Per saperne di più su tanti altri musicisti ebrei si può leggere il testo di Raffaele De Luca, Tradotti agli estremi confini. Musicisti ebrei internati nell’Italia Fascista, Mimesis edizioni, Sesto san Giovanni (Mi) 2019 e leggere gli atti del Convegno internazionale I compositori e i musicisti ebrei italiani durante il Fascismo organizzato nel 2015 a Trieste dal Festival Viktor Ullmann e dall’Università degli Studi di Trieste, in collaborazione con la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.
Indimenticabile anche la figura di Giulio Gatti, direttore generale della Scala dal 1898 al 1918 e del Metropolitan Opera di New York dal 1908 al 1935. Tutti questi musicisti furono perseguitati dalle leggi antisemite e razziste di Benito Mussolini solo perché ebrei, inducendo l’Italia ad una povertà civile e morale ma anche culturale per quel che molti ebrei professionisti onoravano l’Italia e la loro identità culturale e religiosa.
Ogni anno in questi giorni di fine mese ci auguriamo che la loro memoria non sia quella ricordata in un solo giorno dell’anno ma che avvenga ogni giorno dell’anno nella vita culturale italiana ed internazionale. La loro musica come quella musica concentrazionaria testimonia questa fede (molta documentazione di quest’ultima nell’opera di Francesco Lotoro pubblicata qualche giorno fa, Un canto salverà il mondo 1933-1953, la musica sopravvissuta alla deportazione, Feltrinelli, Milano 2022). Questi uomini hanno professato la Musica come testimonianza dei loro valori civili e religiosi. A noi riconoscerne la loro memoria. Almeno spesso!
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