Lifestyle
October 25 2012
Se è difficile far bene, è ancor più difficile ripetersi. Concetto noto e arcinoto, forse frullerà in testa in questi giorni a Massimiliano Bruno.
Volto pacioso da giullare e mole da buttafuori, sceneggiatore più volte al servizio di Fausto Brizzi, attore che sbeffeggiava i comici senza talento col tormentone "Bucio de culo" inBoris - Il film, il poliedrico cineasta romano l'anno scorso ha debuttato alla regia subito con un successo, Nessuno mi può giudicare. Ecco servita una commedia spassosa ma pure acuta, che vinse Nastro d'argento e Globo d'oro e valse il David di Donatello a Paola Cortellesi. Chapeau!
Ma ripetersi, appunto, non è cosa da tutti (sì, certo, Michael Haneke lo fa in continuazione, anzi si supera forse con Amour, ma questo è altro discorso). Ora Bruno ci riprova e sforna il suo secondo film, Viva l'Italia (dal 25 ottobre al cinema), occupandosi lui stesso pure di soggetto e sceneggiatura, insieme a Edoardo Falcone. Ma quello che in Nessuno mi può giudicare era pregio, qui si trasfigura in difetto. Quello che là era mossa vincente, qui è un autogol che conduce la commedia fuori dai binari. Deraglia verso la volgarità continuata e fastidiosa, verso una critica del malcostume italiano troppo urlata pertanto poco viscerale, chiudendo poi con una svolta di redenzione che sa di improbabile e fa cariare i denti.
Michele Placido è Michele Spagnolo, politico di prima linea che ha come mantra della sua campagna elettorale "sicurezza, lavoro, famiglia", ma che nel privato ha la raccomandazione dei figli e il tradimento della moglie (Imma Piro) - soprattutto con giovani signorine - come prassi ricorrente. Insomma, il ritratto di un politico italiano.
Alessandro Gassman è Valerio Spagnolo, il figlio un po' scemo che sta facendo carriera all'interno di un'azienda alimentare ovviamente per il suo cognome, non per le sue qualità. Idem per Ambra Angiolini, ovvero Susanna Spagnolo, attrice "cagna" (Bruno si ispira a Boris) dalla "esse" più che sibilante che ottiene le parti grazie al cognome del papà. Raoul Bova è invece il figlio un po' anarchico e controcorrente, che sempre ha voluto distinguersi dal padre e diventar dottore senza l'aiuto (forse) del genitore troppo ingombrante.
A questo quadretto di famiglia si aggiungano Rocco Papaleo, agente spudorato e grossolano di Susanna/Ambra che si finge gay per lavorare, ed Edoardo Leo, aspirante attore tante volte vistosi superare da raccomandati e che per campare fa la guardia del corpo.
Durante una scappatella con una "promettente" soubrette televisiva l'onorevole Spagnolo/Placido viene però colto da un malore, e tutto cambia. L'apoplessia ha colpito la parte del cervello che controlla i freni inibitori e d'ora in avanti non può che dire tutto quello che gli passa per la testa. Che ovviamente nel 90% delle volte è di una volgarità stucchevole. Che vorrebbe far ridere ma spesso provoca l'effetto contrario. L'equilibrio tra sguaiato e divertente che il regista era riuscito a mantenere nella sua opera prima qui si perde vorticosamente.
In Nessuno mi può giudicare Bruno riusciva a fare una parodia della società contemporanea ma senza intenti intellettualistici e in maniera sottile. Ora quella sottigliezza chissà dov'è andata. I suoi personaggi sono spesso macchiette, prima troppo macroscopicamente inetti e dopo la redenzione troppo positivi e illuminati.
La cialtroneria di molti nostri politici è messa sul piatto con modi troppo triviali, dimenticando quanto può essere spesso sferzante e denunciante l'ironia.
E intanto, tra una scena e l'altra, lo stesso Bruno nei panni di un comico snocciola gli articoli della Costituzione, oggi svilita tanto da sembrare un testo umoristico. Ci prova, il cineasta, a criticare muovendo la risata, ma il risultato è quello di unire le modalità di un Crozza con quelle dei fratelli Vanzina: un pasticcio.
"Non c'è nessuna anomalia. Siamo in Italia: io sono ricco e passo avanti, lei è povera e si attacca al ...", dice Placido/Spagnolo in ospedale, nel passar davanti a un'altra paziente in attesa.
Sì, certo, siamo in Italia. Ma se la politica, come certa quotidianità, spesso è volgare e superficiale, sarebbe bello che il cinema, nel biasimarla. non lo fosse.