Economia
September 15 2012
di Katherine Rushton
Nel 2011 Vittorio Colao ha guadagnato 14 milioni di sterline (circa 17 milioni di euro) tra stipendio e bonus. La società che amministra, del resto, è la Vodafone: un colosso multinazionale con una capitalizzazione di borsa sui 90 miliardi di sterline (oltre 113 miliardi di euro), che opera in oltre 70 paesi.
Colao, inoltre, è stato ampiamente apprezzato per l’ottimo lavoro svolto come amministratore delegato. Nei quattro anni in cui è stato al timone dell’azienda, la Vodafone ha versato agli azionisti 26 miliardi di sterline (oltre 30 miliardi di euro), diventando il principale pagatore di dividendi fra le aziende del listino nel Ftse100, e nonostante la crisi economica generale ha mantenuto i profitti stabili sui 9,55 miliardi di sterline (quasi 12 miliardi di euro). Ma il dubbio resta: 17 milioni di euro non sono comunque una cifra enorme? La domanda agita Colao. «Sì, ci ho riflettuto molto e ne ho parlato anche con mia moglie. In famiglia, è lei quella più di sinistra» spiega.
Secondo Colao, nel settore stipendi ogni azienda dovrebbe valutare tre elementi. Il primo è se il trattamento economico sia il corrispettivo di un successo gestionale o di un fallimento. «Nel nostro caso l’esperienza è positiva, dunque il primo test è superato» afferma. La seconda valutazione dovrebbe verificare se le buste paga dei dirigenti favoriscano un atteggiamento alla «prendi i soldi e scappa» e non la creazione di un valore aggiunto a lungo termine. «Gran parte della mia retribuzione» spiega Colao «mi arriva sotto forma di azioni e mi sono impegnato a non venderle mai: se quindi le cose dovessero mettersi male, gli azionisti sanno che ne farei le spese anch’io».
E il terzo elemento? «Beh, è il più complesso» risponde. «Ogni azienda dovrebbe chiedersi: dati per risolti i primi due quesiti, lo stipendio è comunque troppo alto? Questa è la vera domanda. Confesso che per me, francamente, è difficile rispondere».
Colao, in fondo, capisce il punto di vista dell’uomo della strada. «Non posso negare che 17 milioni di euro siano una cifra enorme. Non è facile, per me, trovare la risposta. La cosa fondamentale è capire di essere un privilegiato ed essere certo che i tuoi familiari e gli amici, a loro volta, sappiano che ne sei consapevole. Per questo sul tema non esprimo mai pareri in pubblico: non voglio sembrare uno di quei manager sempre sulla difensiva».
Appoggiato alla sedia, le maniche della camicia arrotolate, Colao preferisce parlare di altro: del suo «profondo amore» per la Vodafone e di come gli sia difficile immaginare la sua prossima mossa, perché «è come poter dire se esiste un’altra vita dopo la morte». L’uomo ha la risata facile, si entusiasma quando parla di calcio e snocciola battute, una dopo l’altra. «Ah! Siamo spiati da Telefonica!» grida a un certo punto, facendo un cenno con il capo a due lavavetri che ci guardano stupiti dall’impalcatura fuori dal grattacielo di Paddington, a Londra, dove ha sede il suo ufficio. Sorprendono un po’ questi atteggiamenti in chi deve la sua ascesa in Vodafone all’ossessione per i dettagli più minuziosi. Colao scuote la testa «Sono un amministratore delegato molto pratico. Stanotte sarò in viaggio, domani visiterò due paesi in un giorno. Sono un mix di tenacia, disciplina e controllo». Per curare gli interessi della Vodafone, in effetti, Colao deve rispettare un serrato programma di viaggi che gli impone la spola tra Europa, Africa, Medio Oriente e Turchia.
Altra questione prioritaria nella sua agenda è quella dell’India, dove una lunga battaglia per il pagamento delle imposte sull’acquisizione da parte della Vodafone, nel 2007, di una quota di maggioranza nella Hutchison Whampoa è sfociata quasi in una crisi istituzionale. Il fisco indiano sostiene infatti che la Vodafone debba pagare 2,2 miliardi di dollari (quasi 1,8 miliardi di euro) poiché la compravendita riguarda beni indiani, sebbene l’accordo sia stato stipulato fra due società estere. Dopo un estenuante scontro legale, la corte suprema indiana ha dato ragione alla Vodafone. Ma, proprio quando l’azienda pensava finalmente di chiudere la vicenda, il governo di Delhi è passato al contrattacco: ha annunciato un chiarimento retroattivo della legge fiscale, grazie al quale la legislazione in vigore da 50 anni potrà essere emendata. Questo potrebbe permettere allo stato di esigere il pagamento di tasse per il valore di miliardi, anche per transazioni già avvenute.
Ovvio, la Vodafone non deporrà le armi senza combattere. Intende richiedere l’apertura di un arbitrato internazionale sulla questione, e questo avrà notevoli conseguenze per centinaia di altre multinazionali che operano in India e per il futuro degli investimenti esteri in quel paese. Colao interpreta la questione come un problema di buon governo: «Ho partecipato a incontri molto positivi con personaggi di spicco dell’esecutivo indiano, incluso il primo ministro, e mi sono sembrati tutti dotati di buon senso. Ogni volta, però, accade qualcosa e i politici diventano ostaggio dei loro collaboratori nei ministeri. Penso proprio che i burocrati, i funzionari non eletti, mettano con le spalle al muro i ministri e i politici che devono decidere, avanzando una serie di problematiche complesse cui nemmeno i policymaker riescono a trovare soluzione».
Ora pare che il governo indiano stia cominciando a mutare atteggiamento, che abbia addirittura iniziato a invertire la rotta per evitare la collisione diretta con la Vodafone. Ma, se non si giungerà a un accordo, tutti i piani dell’operatore mobile nell’area saranno congelati. «Quando penso all’India, provo una specie di schizofrenia» commenta Colao. «Ogni volta che ci sbarco con l’aereo una parte di me è entusiasta, felice. Mi dico: è stata proprio una buona idea venire qui, perché questo è il paese del futuro. Ma poi un’altra parte di me, magari nello stesso giorno, si chiede: come possono colpire una società che ha investito tanto, e senza portare fuori nemmeno una rupia dal paese?».
Per la Vodafone, va detto, le tasse non sono un problema solo in India. La società, che è stata fondata in Gran Bretagna e ha sede a Newbury, nell’area sudorientale del Berkshire, è stata accusata di sottrarsi al fisco anche in patria: è stato addirittura lanciato il sospetto che nel 2011 abbia incassato ricavi per miliardi di sterline dai 19 milioni di clienti del Regno Unito, senza pagare l’imposta sulle società. L’anno scorso, in realtà, la Vodafone ha versato 700 milioni di sterline (circa 900 milioni di euro) al fisco inglese, e ne ha investiti altri 575 (oltre 730 milioni di euro) nelle infrastrutture in Gran Bretagna. Il punto è che la società sta ancora ammortizzando le imposte relative ai 5,96 miliardi di sterline (7,6 miliardi di euro) pagati nel 2000 al governo del Regno Unito per le frequenze.
Ma anche queste cifre non sono bastate a modificare i titoli sui giornali. E Colao è indignato per come è stata riportata la vicenda: a suo dire, tutto nasce dall’incapacità di capire come funzionano le tasse sulle società. «A suo tempo il governo di Londra è stato trattato da eroe per il denaro incassato da noi in un’unica soluzione. Poi, quando abbiamo cominciato ad ammortizzare e a detrarre parte della somma dai nostri conti col fisco, sulle prime pagine dei giornali si è letto: perché la Vodafone non paga le tasse?». Nonostante la querelle tributaria, Colao intende mantenere la Vodafone in Gran Bretagna. «Questo è un paese evoluto, che accoglie bene gli stranieri» dichiara. È anche più solido economicamente... «Sì, il Regno Unito è forte. Ed è la terra dello smartphone».
Altrove la situazione è diversa: nel 2011 la Vodafone ha dovuto svalutare le attività in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia per oltre 5 miliardi di euro, e i ricavi sono diminuiti. Anche per questo la Vodafone punta alle economie emergenti con una minuziosa pianificazione. Al contrario, quando chiedi a Colao come immagina la sua vita da qui a qualche anno, risponde evasivo: «Non ho mai pianificato la mia carriera e non lo faccio certo ora. Non faccio mai programmi a lungo termine».
Da ragazzo il numero uno della Vodafone fu profondamente colpito dalla morte improvvisa di un familiare. È stato allora che ha promesso a se stesso di concentrarsi sempre e solo sul presente: «La mia vita è mutata nel giro di pochi secondi» dice, con tono improvvisamente meditabondo. «So bene che tutto può cambiare e che non dipende da noi. Per questo dico sempre a chi mi è caro: goditi la vita, ogni giorno che viene, e goditi i momenti trascorsi con le persone care. E non fare programmi, perché domani potresti avere un infarto».
© The Sunday Telegraph (traduzione Studio Brindani)