Economia
February 03 2016
Jan Koum, il papà di WhatsApp, ha tutte le ragioni del mondo per essere orgoglioso: la sua creatura ha appena toccato l’invidiabile soglia del miliardo di utenti. Significa, in pratica, che un abitante su sette del Pianeta utilizza oggi la sua app di messaggistica.
Entrare nel club dei servizi a nove zeri, peraltro, non è roba che si vede tutti i giorni. Prima di WhatsApp, per dire, solo Facebook e Gmail erano arrivati a tanto, ma facendo leva su tutt’altre risorse. In questo senso, l’impresa di WhatsApp vale doppio, perché conquistata grazie all’iniziativa di un gruppo ristretto di ingegneri e sviluppatori (57 allo stato attuale).
Sì, è vero, dal 2014 c’è la longa manus di Mark Zuckerberg ad accompagnare qualsiasi mossa dell’imprenditore di origine ucraine. Ma vien da pensare che anche senza l’ausilio di Facebook, WhatsApp prima o poi sarebbe riuscita a tagliare il traguardo: in fondo già prima della storica acquisizione da parte del social network, il servizio aveva dimostrato di sapere camminare con le sue gambe, arrivando a toccare la soglia del mezzo miliardo di iscritti in soli quattro anni.
Dai messaggi ai dollari
Nell’attesa di celebrare la prossima grande conquista (in fondo ci sono ancora sei miliardi di persone da convincere), vien facile chiedersi cosa se ne farà WhatsApp (e quindi Facebook) di questo invidiabile bacino di utenti.
Sì, perché pur essendo di gran lunga la chat più gettonata del mondo, WhatsApp non ha ancora trovato la chiave per trasformare il suo straripante traffico di messaggini - stiamo parlando di qualcosa come 42 miliardi di messaggini al giorno - in un affare redditizio. Il problema è reso ancor più evidente dalla decisione della scorsa settimana di eliminare quella che finora era stata l’unica fonte di sostentamento del servizio, il canone annuale di 89 centesimi per utente.
No alla pubblicità, il guadagno arriverà dalle imprese
L’unica certezza, per il momento, è che WhatsApp non inserirà pubblicità fra le sue maglie. Lo ha detto lo stesso Jan Koum, lo ha ribadito anche Mark Zuckerberg. Nell’accordo di compravendita, evidentemente, i due devono aver chiarito un aspetto fondamentale per il futuro dell’applicazione: la pubblicità farebbe crollare drasticamente la fiducia che gli utenti ripongono in uno strumento come questo, per sua natura semplice, essenziale, sincero.
Si cercheranno altre strade, dunque, probabilmente più laterali. L’ipotesi più accreditata è quella di un modello alla WeChat (l’equivalente asiatico di WhatsApp) nel quale l’applicazione diventerà una via snella per il pagamento di piccoli importi (la pizza da asporto, la bolletta della luce, la corsa in taxi) o quantomeno per compiere azioni che abbiano un ritorno commerciale.
Ma il business può attendere
È lo stesso Koum a fare intravedere lo scenario: "Abbiamo lavorato bene nello spazio consumer, ma c'è tutto un altro aspetto della comunicazione che fa parte delle nostre giornate: la volontà di comunicare con le imprese. Abbiamo preso la tecnologia degli SMS per i consumatori e l’abbiamo migliorata. Ora, vogliamo fare la stessa cosa con la messaggistica commerciale". Il pensiero va subito a tutte quelle attività - si pensi ad esempio alla prenotazione di un ristorante - per le quali un messaggino potrebbe essere qualcosa di più di un abilitatore.
Non ha fretta, comunque, Jan Koum. Finché WhatsApp crescerà con questi tassi potrà sempre contare sugli “spiccioli” che arrivano dagli investitori che alimentano la macchina di Facebook, una corazzata da quasi quattro miliardi di utenti totali (la somma fra gli 1,6 miliardi dal social network, il miliardo di WhatsApp, gli 800 milioni di Messenger e i 400 milioni da Instagram) che ha già raggiunto - in soli due anni - i 326 miliardi di dollari di capitalizzazione in Borsa. I dati degli utenti, ormai è chiaro a tutti, sono la vera ricchezza dell’era digitale.