Lifestyle
August 20 2018
Lo ammetto, ho sicuramente usato anche io almeno una volta epiteti poco gentili parlando di Yoko Ono. Cosa sapevo di lei? Assolutamente nulla. Sono una fan sfegatata dei Beatles? Non direi. Eppure Yoko Ono, per chiunque si interessi minimamente di musica, è sempre stata un personaggio infido, quella che ha sedotto John Lennon con indubbi intenti maligni, quella che ha distrutto la più famosa band rock della storia. La lettera scarlatta cucita sulla figura di Yoko Ono la vedono ancora tutti a distanza di decenni, non è necessario sapere qualcosa di lei, per odiarla: per carità, chi mai vorrebbe perdere tempo dietro alla vita e alla carriera di una donna così visceralmente antipatica?
Lo scrittore Matteo B. Bianchi, per esempio. Che si è appassionato a questa artista bistrattata e le ha dedicato una biografia che è una lettera d’amore, come precisa il sottotitolo del breve saggio uscito con la casa editrice torinese Add: Dichiarazioni d’amore per una donna circondata d’odio (il titolo è semplicemente Yoko Ono).
B. Bianchi, in quasi 250 pagine veloci, racconta in parallelo il suo rapporto con la produzione artistica e musicale di Yoko Ono e la vita dell’artista giapponese, partendo dall’infanzia, per arrivare al matrimonio con John Lennon e proseguire ancora oltre, addentrandosi insomma in quel territorio inesplorato che a nessuno, quando si parla di lei, sembra interessare: il prima e il dopo Lennon.
La vita di Yoko Ono, ho scoperto leggendo B. Bianchi, sembra uscita da un film, da un melodramma, da un serial a puntate (l’autore, fra il serio e il faceto, fa tra le righe un accorato appello a Netflix). È difficile non restare stregati da una vicenda simile: dentro ci sono grandi ricchezze, la guerra, dei genitori anaffettivi, una figlia rapita dal padre e finita nelle grinfie di una setta religiosa, l’incontro con un rivoluzionario genio del rock. In effetti il materiale sembra poter soddisfare lo sceneggiatore più esigente.
Ma al di là dell’interesse per la storia personale di Yoko Ono – che lo è, obiettivamente, interessante – quella che opera B. Bianchi sembra quasi una magia: scardina i pregiudizi infondati del lettore, lo porta a chiedersi “Ma perché Yoko Ono non mi è mai piaciuta?”, gli suscita la voglia di aprire Spotify e cercare i suoi pezzi (da notare, digitando il suo nome non compare neppure per prima nei risultati di ricerca), e, soprattutto, la rende fragile, umana, incasinata: in una parola, simpatica.
D’altronde i falsi miti della musica sono duri a morire quando attecchiscono nella cultura popolare, pensiamo a Courtney Love e all’idea che avesse ucciso lei Kurt Cobain, o, restando in Italia, a Marco Masini, che per diversi anni è stato accusato di portare sfortuna. I giudizi sono sempre inappellabili e se la malcapitata è donna la ferocia, spesso, aumenta.
Matteo B. Bianchi, invece, porta avanti in modo spontaneo e semplice il ragionamento sui fenomeni pop, sugli ardenti amori e i feroci odi di pubblico che li investono. Da questo punto di vista, oltre a essere un libro snello, godibile e ben scritto, Yoko Ono ha il pregio di sfidare le leggi sacre del rock per far raccontare (e difendere) una storia artistica e musicale poco conosciuta, sebbene sia sempre stata sotto gli occhi di tutti.
A lettura conclusa, ho ascoltato per la prima volta Yoko Ono. Le sue sono sonorità difficili, non è certo che piacciano. Ma su questo dovrebbe basarsi il giudizio su un artista: sulla sua opera, che può essere apprezzata o meno, che può interessare a diversi livelli in base al grado di conoscenza che ciascuno ha della materia, che sia musicale, artistica, pittorica, o via dicendo.
Forse la musica di Yoko Ono non sarà mai nella mia playlist preferita, forse non lo sarà neppure in quella di molti lettori di B. Bianchi, ma una cosa va detta: Yoko, per la miseria, scusaci.
Matteo B. Bianchi
Yoko Ono
Add, 2018
249 pp., 13 euro