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Zanardi e la magia delle paralimpiadi

Cadenza bolognese, sguardo gentile, mani grandi e forti perché alla fine sono loro che lo aiutano a muoversi da quando vive su di una sedia a rotelle. La grinta e il talento di Alessandro Zanardi si sono dovuti confrontare con il destino che l’ha portato a un soffio dalla fine tredici anni fa... 

«Mi sono svegliato dopo otto giorni di coma. Nessuna luce in fondo al tunnel, né altre storie da raccontare. Sapevo solo di aver girato le spalle alla morte all’ultimo momento. Quel giorno mi sono detto che qualsiasi fosse stata la mia vita in futuro sarebbe andata benissimo»

Le sue gambe, abbattute come le Torri Gemelle soltanto quattro giorni prima (era il 15 settembre del 2001) gli cambiano tutto. Lui continua a ripetere che invece è stata la sua fortuna. Lo sport gli ha voltato le spalle su quella pista, ma lui non ha mai fatto il contrario:

«Non ho mai pensato, nemmeno per un istante, a quello che non potevo più fare senza le gambe. Il mio pensiero era rivolto solo a quello che avrei potuto fare in funzione dei miei nuovi limiti. E le mie azioni hanno confermato quello che dichiarai subito dopo l’incidente. È stata questa la sorpresa più grande, molti si aspettavano che fosse doveroso dire “non mi arrendo”. Ma la vita è troppo importante e ho giurato a me stesso che mi sarei attaccato a ogni singolo grammo del corpo rimasto intatto per dimostrare che ne valeva la pena»

Alex Zanardi incarna perfettamente quello che è stato il motto delle Paralimpiadi di Londra 2012, dove il pilota ha portato a casa due ori e un argento: "Inspire a Generation".

«I giovani si devono mettere alla prova, e noi dobbiamo dare loro la possibilità di farlo, indipendentemente dal risultato. Dobbiamo chiedergli di essere curiosi, di indagare dentro di sé per capire se siano pronti a mettersi in gioco. Dal più piccolo progetto, fino ad arrivare alla Paralimpiadi»

È quello che stanno facendo in questi giorni i trentaquattro atleti azzurri a Sochi per le paralimpiadi cui Zanardi manda un augurio di buona fortuna. «Quando a Londra è toccato a me mi sono sentito in dovere di mettere alla prova me stesso prima di dover dare prova agli altri delle mie capacità. Avrei portato a casa felicemente anche un quinto posto se quello fosse stato il meglio a cui, nelle mie condizioni, potevo ambire. Poi per fortuna non è stato così». 

Difficile credere che Zanardi sia uno stimatore del detto “non si gioca per vincere”.

«Le vittorie sono stimolanti e gratificanti. Ai Giochi Olimpici sono andato perché volevo andare in bicicletta, non perché volevo vincere una medaglia. Però d’accordo, il secondo posto non mi piace un granché. Se guardi la mia vita di adesso tutto quello che faccio, i miei successi e la mia felicità, sono connessi alla mia condizione fisica. Se domani arrivasse il genio della lampada e mi chiedesse di esprimere un desiderio, temporeggerei un po’ prima di chiedergli indietro le gambe, perché prima vorrei andare con la mia handbike alle Paralimpiadi di Rio del 2016 e difendere le medaglie conquistate a Londra».

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