Lifestyle
July 14 2014
Sono pochi i nomi della storia del rock che continueranno a riecheggiare all’infinito, e quello di Hendrix è tra questi. È stato il demiurgo della psichedelia, l’iniziatore quasi inconsapevole di una musica genuina e potente. È bruciato in fretta senza superare la boa maledetta dei 27, forse vittima della sua stessa fonte di ispirazione. Ma da dove veniva questo sciamano della Stratocaster che non smette ancora di infiammare intere generazioni? Dove riusciva a scovare quei riff che nessuno può scacciare dalle orecchie?
Alan Douglas, produttore cinematografico amico del musicista, e il documentarista Peter Neal hanno cercato di ripercorrere la vita di Jimy Hendrix a partire da ciò che lui stesso ha lasciato: fogli scarabocchiati, pagine di diario improvvisate su tovaglioli sgualciti, poesie e rare testimonianze. Sulle pagine di "Zero. La mia storia" (Einaudi) la vicenda dell’icona rock di Little Wing e Purple Haze scorre veloce e senza filtri, mentre la voce di Hendrix accompagna il lettore nel collage dei suoi ricordi.
Dai primi giorni di scuola quando il giovane Jimi rispondeva al “Come stai?” della maestra: “Be’, dipende da come si sentono le persone su Marte” perché non ne poteva più di ripetere “Bene, grazie”, fino ai concerti che attiravano masse di fedeli del rock pronti a farsi trascinare dall’estasi della sua chitarra (“Quando salgo sul palco e canto, quella è tutta la mia vita. La mia religione. Io sono la Religione Elettrica”).
Sarebbe bello poter leggere questo libro a occhi chiusi: ci sembrerebbe di avere Jimi di fronte, sprofondato sul divano con una sigaretta in mano e la chitarra sulle ginocchia, a chiacchierare con noi come fossimo vecchi amici.